L’elegante testa di leone che domina il logo aziendale non lascia dubbi sulle origini di Rubelli, sinonimo d’eccellenza nel campo della produzione e commercializzazione di tessuti per l’arredamento di alta gamma. L’impresa veneziana acquisita nel 1889 da Lorenzo Rubelli e poi divenuta un Gruppo internazionale, in realtà, è profondamente legata a Como e al suo distretto. Da oltre trent’anni, Rubelli ha creato e sviluppato nel piccolo centro di Cucciago uno stabilimento ad alto tasso tecnologico, mantenendo il suo headquarter a Venezia. Nella sede comasca, trenta telai jacquard di ultima generazione consentono di realizzare tutte le linee contemporanee, mentre i quattro storici telai a mano conservati in un ambiente separato e suggestivo vengono utilizzati per tessere splendidi velluti soprarizzi su ordinazione. È qui che l’Ingegner Andrea Favaretto Rubelli e il Textile Operation Director Giorgio Meda ci mostrano una parte del sipario realizzato nel 2011 per il Teatro Bolshoi di Mosca, utilizzando 500 kg di filato d’oro puro. Un progetto unico nel suo genere, che ha richiesto due anni di lavoro e che offre all’Ing. Favaretto Rubelli l’occasione per iniziare a raccontarci, con lo sguardo vivace e la gestualità diretta degli imprenditori più appassionati, la storia dell’azienda di famiglia.
Da Venezia a Cucciago. Rubelli opera in provincia di Como dal 1984 e nel 2017 avete investito 3 milioni di euro in nuovi telai e tecnologie 4.0: può raccontarci le tappe principali della storia aziendale e le motivazioni che vi hanno spinto a credere nel distretto comasco?
In epoca rinascimentale, Venezia rappresentava il più importante centro serico d’Europa, noto per la sua qualità e affidabilità. Grazie ai tessitori provenienti da Lucca e alla seta che arrivava dalla Cina, ha dato vita a un distretto più rilevante di quello del vetro di Murano. Durante il Settecento, i francesi si sono dimostrati più abili nel seguire i cambiamenti della moda e soddisfare i gusti del pubblico e hanno conquistato il primato. Infine, nel Novecento è stato il turno di Como, che ha superato i francesi e resta tuttora la numero uno in Europa. Non è stato facile portare la produzione fuori da Venezia ma lì non ci sono più esperti lavoranti come i tintori e i finitori, mentre nel comasco si trovano in un raggio di 15-20 km al massimo. Siamo a Cucciago dal 1984, grazie all’acquisizione dell’ex tessitura Zanchi, e devo dire che ormai qui ci sentiamo decisamente a casa.
Siete riusciti ad affiancare e valorizzare la tradizione del telaio a mano con moderni telai jacquard: quali sono state le maggiori difficoltà nell’introdurre tecnologie avanzate in processi storicamente ‘analogici’?
La formazione tessile è insita nel dna della mia famiglia ma in realtà io sono un ingegnere elettronico e per me investire in tecnologia è stato spontaneo. Quando tre anni fa abbiamo costruito l’estensione dello stabilimento e acquistato nuovi macchinari usufruendo degli incentivi disponibili, abbiamo approfondito e studiato le caratteristiche di Industria 4.0. Abbiamo scoperto di averla già da 15 anni: i primi schermi per controllare la produzione sono stati installati nel 2005/2006, grazie a quella che oggi si chiama Up Solutions, un’azienda con cui collaboriamo tuttora. Abbiamo collegato in rete le macchine jacquard e i telai inizialmente tramite wifi, poi abbiamo cablato l’intera tessitura per renderla più affidabile. È stato un percorso che ci ha portato a scoprire le potenzialità di Industria 4.0 e della connessione in tempo reale con i macchinari, per un dialogo continuo tra uomo e macchina che ormai è diventato per noi un elemento irrinunciabile. Un cambiamento di mentalità che consente di essere più obiettivi e di fare molta più prevenzione dei problemi. Da quando abbiamo investito in Industria 4.0 a metà degli anni Duemila, la qualità dei nostri prodotti è aumentata.
Classifichiamo la produzione in voti: 1 corrisponde al top della qualità e prima veniva applicato al 95% dei prodotti. Ora abbiamo raggiunto il 99,6%, siamo a livelli di massima eccellenza.
Nel 2015, insieme a suo fratello Nicolò, ha ricevuto il Premio EY come Imprenditore dell’Anno per la categoria “Fashion & Luxury”. Secondo lei quali sono le caratteristiche di un buon imprenditore?
Un buon imprenditore deve innanzitutto avere una visione, una conoscenza di quello che succede nel mondo e in azienda. Poi deve riuscire a combinare le esigenze del mondo con le potenzialità dell’azienda. Soprattutto nelle imprese storiche, in cui ogni cambiamento è traumatico, bisogna essere in grado di identificare il dna aziendale e capire come tagliare certe radici e certi rami per poterne far crescere di nuovi, mantenendo intatta la propria identità. Il cambiamento è sempre un rischio: la sfida sta proprio nell’identificare quali sono i valori imprescindibili e quali invece vanno rimessi in discussione. In Rubelli abbiamo sempre un occhio al passato, per non dimenticare mai da dove veniamo e chi siamo, ma anche al futuro, alla tecnologia e alle tendenze di mercato, per capire come far evolvere la produzione.
Il portfolio del Gruppo racchiude prestigiosi marchi internazionali (oltre alle collezioni firmate Rubelli, include anche i brand Donghia, Armani/Casa Exclusive Textiles by Rubelli e Dominique Kieffer by Rubelli, ndr). Come riuscite a intercettare gusti e mercati diversi senza perdere la vostra identità?
Un buon esempio è rappresentato dalla divisione contract, che per noi significa fondamentalmente hospitality (alberghi, navi, teatri, ristoranti,…). Mio padre ha avuto il coraggio di iniziare questa avventura negli anni Ottanta con i tessuti Trevira, intuendone lo sviluppo futuro e le potenzialità. Se non l’avesse fatto allora, la nostra sarebbe una realtà ristagnante. Con il tempo la tecnologia è migliorata e abbiamo costruito un know how nel settore: i primi prodotti fanno rabbrividire, mentre adesso sono difficilmente distinguibili da quelli in filato naturale. Ecco, nel mondo contract portiamo il nostro dna ma lo facciamo attraverso prodotti tecnici che rispettano standard, requisiti e normative molto rigidi e hanno un prezzo adeguato, pur rimanendo in fascia alta. Siamo molto orgogliosi di aver partecipato al progetto della nuova Costa Smeralda, una nave da 6000 passeggeri arredata con tessuti Rubelli realizzati interamente a Cucciago. Siamo arrivati a un alto livello di competitività ma non dimentichiamo che questo è un mondo di squali, non si può mai stare tranquilli…
Nel settore tessile/moda si discute da tempo di formazione e del bisogno – ma anche della difficoltà – per le imprese di trovare addetti alla produzione. Come si può affrontare questo problema?
Devo dire che nel recente passato non abbiamo fatto fatica a reperire nuove risorse, perché nei dintorni purtroppo hanno chiuso molte aziende. Tuttavia il problema per il futuro è concreto: ritengo che la formazione sia fondamentale e penso anche che sia importante coalizzarci come imprenditori di settore, per suscitare interesse verso un’arte incredibile e appassionante come quella tessile. Il nostro non è certo un mestiere facile ma è sicuramente molto affascinante e lascia ancora spazio all’innovazione.
In un’intervista ha detto che i designer del team Rubelli sono anche tecnici: capacità di adattamento e multidisciplinarietà sono il segreto per chi sogna un ruolo in questo settore?
Credo molto nella multifunzionalità, è un elemento a cui non rinuncio. So che avere in azienda degli specialisti può essere vantaggioso in termini di efficienza ma penso anche che essere verticali, circondarsi di disegnatori che sono anche tecnici, fa sì che ciascuno possa sentirsi padre o madre del prodotto che sta realizzando, dalla A alla Z. Quando un designer concepisce un tessuto, deve già immaginarsi come lo realizzerà, con quali filati e quali potrebbero essere i problemi una volta al telaio.
Per Antonella Mansi, presidente del Centro di Firenze per la Moda italiana, bisogna formare ‘competenze’ ma soprattutto ‘intelligenze’, perché non sappiamo cosa ci aspetta. Come guarda al futuro del settore?
Sono d’accordo con Antonella Mansi e penso che l’innovazione giocherà un ruolo fondamentale. I macchinari ormai li comprano tutti: non basta essere ‘ben attrezzati’, bisogna puntare sulle idee. Dobbiamo circondarci di persone brave, che pensano e possano aiutarci a tirare fuori le idee giuste… persone disposte a mettersi in gioco. Purtroppo, anno dopo anno, assistiamo a una graduale diminuzione delle tessiture: il fatto che sparisca un concorrente non è mai una buona notizia, perché è sintomo di una generale debolezza della rete di aziende che per noi sono essenziali. Dobbiamo impegnarci perché il comparto rimanga vitale.
La continua spinta a innovare vi ha portato a interessanti sperimentazioni nel campo del design: per Rubelli Casa avete brevettato Damantio, un tessuto tecnico racchiuso in una lastra di resina che dà vita a originali ed esclusivi complementi d’arredo. Quali sono i progetti per il futuro?
Siamo iperattivi sul fronte Ricerca e Sviluppo e stiamo lavorando al prossimo Damantio, anche se non posso svelare di più. Vengo qui a Cucciago più volte al mese proprio per spingere l’area innovazione e l’anno scorso abbiamo fatto investimenti consistenti in ricerca pura, finalizzati essenzialmente al nostro desiderio di innovare. Non ci focalizziamo solo su prodotti tecnologicamente nuovi ma anche su aree di business tessile in cui non siamo presenti ma vorremmo diventare bravi. Non tutto quello a cui lavoriamo diventa commerciabile: quando ci impegniamo in qualcosa non siamo mai approssimativi, vogliamo eccellere. Parte di queste sfide è rappresentata dalla ricerca di prodotti più compatibili con l’ambiente.
A proposito di sostenibilità e tracciabilità: come vengono affrontati e concretizzati questi temi in azienda?
Faccio parte del cda di Sistema Moda Italia (SMI) e ho partecipato a diversi incontri sul tema. Per fortuna – e purtroppo – ho notato che l’arredo viene sempre dopo l’abbigliamento, basti pensare all’impegno di Euratex per quanto riguarda l’impronta ecologica dei capi. Il 2019 per noi ha rappresentato l’Anno Zero in cui abbiamo avviato un processo a cui tengo e che non può essere improvvisato. Abbiamo iniziato a riflettere sulle fibre e sulla concezione del prodotto: il percorso sarà lungo, probabilmente decennale, ma è importante intraprenderlo. La divisione contract si è sviluppata essenzialmente grazie a un prodotto in poliestere, che rispetta tutti i requisiti richiesti dalla normativa. Questa particolare tipologia di prodotti deve essere certificata ignifuga e bisogna garantire che tutte le partite lo siano, per questo le fibre che li compongono non sono di facile e rapida sostituzione. Siamo in prima linea e attendiamo di sapere dai nostri fornitori se e quando potremo utilizzare poliestere riciclato. Un altro interessante filone di ricerca è costituito dai prodotti tecnici alternativi a base di fibre naturali: conto che ci saranno ulteriori sviluppi in questa direzione nei prossimi mesi.
Oltre a impreziosire i più illustri teatri del mondo, i tessuti Rubelli appaiono in celebri film e serie tv tra cui “Le Relazioni Pericolose”, “Marie Antoinette”, “Harry Potter” e il “Trono di Spade”. C’è qualche ricordo di queste esperienze a cui è particolarmente legato?
È sempre una grande soddisfazione vedere i tessuti Rubelli sul grande schermo, soprattutto se il film è ambientato nella mia città, come il Mercante di Venezia. Ma ho un bimbo di nove anni con la passione per Harry Potter e ricordo bene quando dal nostro showroom sparirono tutti i campioncini di Mocenigo Rosso utilizzato per il mantello del maghetto. Mio figlio li aveva distribuiti tra i suoi compagni di classe… facendo arrabbiare la showroom manager!
Frutto di ricerca, passione e creatività, l’innegabile magia evocata dalle creazioni Rubelli è capace di conquistare generazioni di estimatori.
A cura di Erica Premoli