Se avessero dato retta a chi gli sconsigliava di lasciare il posto fisso per viaggiare attraverso il mondo in cerca di leader visionari, Pim de Morree e Joost Minnaar forse sarebbero ancora intrappolati in uffici soffocanti e privi di stimoli come, dicono i dati, circa l’85% dei dipendenti di 150 Paesi (indagine Gallup Inc.). Invece sette anni fa i due giovani ingegneri olandesi hanno raccolto i propri risparmi e si sono imbarcati in un’avventura che si è rivelata un grande successo. Oggi Corporate Rebels, il progetto nato in modo embrionale in un’affollata cerveceria di Barcellona, non è più solo un blog dove raccontare dei loro viaggi alla scoperta dei luoghi di lavoro più radicali, ma un libro disponibile in 9 lingue, una società di consulenza, una community affezionata e un’Academy che hanno assicurato ai due “ribelli” riconoscimenti e apprezzamenti a livello internazionale. Joost Minnaar, co-fondatore di Corporate Rebels, ci ha raccontato come lui e Pim si impegnino nel dimostrare che anche i luoghi di lavoro noiosi e vecchio stile possono diventare stimolanti.
Joost, qual è stata l’idea che ha dato il via a Corporate Rebels?
Non è stata tanto un’idea quanto un’esperienza, di quelle frustranti. A dire il vero, sono state le nostre comuni esperienze in ambienti professionali terribili, caratterizzati da burocrazia, inerzia e mancanza di motivazione. Per farla breve, eravamo frustrati dall’approccio tradizionale e datato al lavoro. Avevamo la netta convinzione che ci dovesse essere un’alternativa migliore. Così, a gennaio 2016, abbiamo deciso di rassegnare le dimissioni e iniziato a viaggiare per il mondo per visitare i pionieri più ispirati e capire cosa fanno di diverso per rendere il lavoro più divertente. Procediamo seguendo quella che chiamiamo la nostra Lista di Pionieri. Da quando ci siamo licenziati, cancelliamo dalla Lista i nomi dei visionari che incontriamo. Impariamo da loro, ne condividiamo i suggerimenti e cerchiamo di ispirare altri a cambiare e migliorare. Facciamo tutto questo attraverso la nostra piattaforma, Corporate Rebels, per combattere i luoghi di lavoro frustranti e per rendere il lavoro più divertente.
Ad oggi, qual è stato il pioniere o l’azienda che vi ha colpito di più e perché?
È difficile sceglierne uno tra gli oltre 150 che abbiamo visitato finora. Tra questi ci sono organizzazioni, aziende, imprenditori, leader del mondo accademico e del business che sfidano tutti lo status quo. Però posso sottolineare qualche episodio. Incontrare il team di Patagonia è stato fonte di grande ispirazione, non solo perché siamo andati a fare surf con loro in California, ma soprattutto perché nell’azienda tutto ruota intorno alla mission: “Siamo in affari per salvare la nostra casa, il nostro pianeta”. Più vicino a casa abbiamo visitato Buurtzorg, società olandese di assistenza domiciliare, che è la dimostrazione di come si possano organizzare migliaia di persone senza avere nessuna struttura manageriale. In Cina abbiamo visitato Haier, grande produttrice di elettrodomestici che mostra come chiunque possa essere imprenditore semplicemente suddividendo la società di 70.000 persone in 4.000 microimprese. In questi anni abbiamo incontrato ogni tipo di imprenditore illuminato e pensatore, come Ricardo Semler, Daniel Pink e Dee Hock. Ma qui mi fermo, perché potrei andare avanti per un bel po’…
Credi che la pandemia abbia avuto un ruolo di catalizzatore per le aziende, spingendole a migliorare, oppure credi che i luoghi di lavoro siano ancora per la maggior parte “vecchio stile”?
La pandemia ha spostato significativamente la conversazione su questo tema. Ad esempio, se avessimo dovuto parlare o scrivere di lavoro da remoto prima della pandemia, molte persone avrebbero risposto con un classico: “È bello che funzioni per voi, ma non funzionerebbe mai nella nostra azienda perché (inserisci una scusa a caso)…” Ora questo atteggiamento sembra cambiato. La maggior parte delle persone sa che si può lavorare bene anche da casa. Che ci si può fidare di gran parte dei colleghi e che questi sono capaci di gestire maggiore libertà in modo responsabile, anche se non sono sempre fisicamente presenti in un ufficio pieno di regole per essere tenuti sotto controllo. Ma c’è voluta una crisi per capire questo semplice passaggio. Quindi sì, la pandemia ha spinto le persone a considerare in modo diverso questo aspetto del lavoro. Nonostante ciò, in alcuni casi vediamo il trend invertirsi, e ci sono ancora un sacco di cose che non vanno nei luoghi di lavoro più tradizionali. Immagina, per esempio, come sarebbe la tua azienda se si concentrasse più sul suo scopo e i suoi valori e meno sulla massimizzazione del profitto. Se fosse strutturata come una rete di team autonomi, invece che come una piramide gerarchica. Se decentralizzasse l’autorità in prima linea, invece che centralizzarla nelle mani dei grandi capi. Se fosse flessibile, agile, adattiva e aperta alla sperimentazione, invece che affidarsi alle previsioni per il futuro e ai budget annuali. Se condividesse le informazioni in modo trasparente con tutti, invece che tenerle segrete. E se si focalizzasse sul permettere alle persone di sviluppare i propri talenti, invece che costringerle a seguire il proprio ruolo. Tutto questo non renderebbe il lavoro più divertente?
Questi ultimi anni sono stati complicati per tutti, ma non vi siete fermati e avete anche dato vita a un’Academy… Quanto conta la formazione per voi?
Conta tantissimo. È il motivo principale per cui incontriamo tutti questi pionieri e ci assicuriamo di imparare come coinvolgono attivamente i propri dipendenti. Vogliamo apprendere quello che gli altri hanno già capito. Ciò che importa per noi è imparare quello che funziona in modo concreto, non solo in teoria. Vogliamo vedere, ascoltare e sperimentare quello che le aziende fanno nella vita vera, vogliamo scoprire e capire le loro pratiche quotidiane. E vogliamo condividere queste conoscenze con altri, in modo che possano imparare come rendere le proprie organizzazioni più progressiste. è per questo che abbiamo avviato l’Academy durante la pandemia. L’abbiamo fatto in modo che le persone potessero imparare dai pionieri, da altri membri della community, e da noi. Perché se vuoi reinventare il tuo luogo di lavoro non devi perdere tempo cominciando da zero: c’è un’intera community lì fuori che può aiutare te e la tua azienda nel processo.
Credi che una mancanza di formazione possa contribuire a generare luoghi di lavoro noiosi e leader impositivi? O ci sono altri fattori in gioco?
In realtà penso che sia il contrario. Gli imprenditori che hanno fondato le aziende più radicali spesso non hanno nessun tipo di formazione nel campo del management. Quindi, invece che affidarsi a un particolare titolo di studio o master, hanno capito da soli tutto ciò che serviva sull’argomento. Spesso lo hanno fatto seguendo il buonsenso e uno stile di management senza troppi tecnicismi. E soprattutto, molti di loro sembrano guidati da un principio fondamentale: credono che la maggior parte delle persone siano essenzialmente in gamba. Che ci si possa fidare dei dipendenti e che questi sappiano prendere l’iniziativa e assumersi le responsabilità, se dai loro l’opportunità di farlo. Di conseguenza, trattano le persone come adulti e credono che questo renda le loro organizzazioni capaci di performare meglio rispetto ai competitor che adottano metodi più tradizionali, dal momento che questi ultimi si affidano a un pensiero organizzativo più conservatore, basato su una filosofia completamente diversa, radicato nell’idea che non ci si possa fidare delle persone, che servano ordini per iniziare a lavorare e controllo per garantire buone performance. Ciò significa che molte di queste realtà trattano le persone o come bambini, o come risorse “usa e getta”. Non stupisce che così tante persone siano poco motivate. Questa è anche la ragione per cui abbiamo fortemente bisogno di una rivoluzione del concetto di lavoro.
Sul vostro blog avete parlato di H-Farm (noto polo innovativo italiano con sede a Roncade, in Veneto, ndr). C’è qualche altra azienda italiana che vorreste visitare o un particolare pioniere che vorreste incontrare e perché?
Amiamo venire in Italia, ma purtroppo al momento non abbiamo in programma viaggi nel vostro Paese. C’è tuttavia un pioniere che vorremmo conoscere, lo chef Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena. è parecchio in cima alla nostra lista e se potessi salterei su un aereo domani per farmi aprire le porte del ristorante e farmi spiegare come è stato in grado di costruire un luogo di lavoro che continua a incoraggiare lo spirito ribelle e a lottare contro lo spreco di cibo, per un’industria alimentare più equa e sostenibile.
In Italia, come penso in altri Paesi che avete avuto modo di visitare, facciamo ancora fatica ad accettare il concetto di fallimento, spesso associato a vergogna e insuccesso. Cosa possiamo fare per cambiare questo punto di vista, soprattutto per le nuove generazioni che iniziano le loro carriere o stanno cercando la loro strada?
Lascia che mi spieghi: fallire non è divertente. Fa davvero schifo, per tutti. Ma resta importante abbracciare il fallimento invece che evitarlo. Perché senza fallimento non possiamo migliorare. Ecco perché la maggior parte dei pionieri crea ambienti sicuri dove poter sperimentare, provare nuove cose, fallire, e imparare dagli errori. Di solito lo fanno celebrando e condividendo le lezioni imparate dai fallimenti. Cioè, creano una serie di incontri periodici (settimanali, mensili, o quadrimestrali) durante i quali le persone sono invitate a condividere con i colleghi non solo i loro più grandi traguardi, ma anche gli errori. Danno vita a un ambiente sicuro dove le persone sono esortate a dire ai colleghi dove hanno fallito, cosa pensano sia andato bene e cosa no, quali idee hanno avuto lungo il processo e cosa gli altri possono trarne. Alcuni pionieri si spingono oltre, celebrando questi momenti con un brindisi a base di champagne, nel vostro caso a base di prosecco! Quindi, per le giovani generazioni, ma anche per quelle adulte, il mio suggerimento è di provare a cercare un luogo di lavoro dove sia possibile stabilire un ambiente sicuro a livello psicologico, mentale.
A proposito di giovani, cosa pensi che le aziende debbano fare per attrarre – o tenere stretti – i talenti? E cosa dovrebbero invece evitare?
Non penso che questo sia valido solo per le giovani generazioni. Dovremmo rendere il lavoro attraente per tutti, junior e senior. Le ricerche hanno dimostrato che negli anni, in fin dei conti, le persone sono motivate dalle stesse cose. Vogliono essere autonome, avere uno scopo, e migliorarsi. Per queste ragioni, le aziende dovrebbero introdurre, adottare e mantenere pratiche che incoraggino questi aspetti. Pratiche che permettano alle persone di avere autonomia, ma allo stesso tempo di sentire la responsabilità e il ruolo che derivano da un maggior grado di libertà. Pratiche che consentano di percepire un senso di scopo, rendendo chiaro quanto ciascuno contribuisca, ogni giorno, alla missione ultima dell’azienda. E pratiche che diano alle persone la possibilità di sviluppare e utilizzare i propri talenti. Ovviamente le aziende farebbero bene, se possibile, a sbarazzarsi di tutte quelle pratiche che non promuovono autonomia, scopo e capacità.
Cosa vedi nel futuro dei Corporate Rebels?
Puntiamo a creare sempre maggiore impatto imparando, esplorando e ispirando. Continueremo a farlo scoprendo nuovi pionieri, andandoli a trovare e condividendo i loro insegnamenti. Questa è la cosa più importante che continueremo a fare nel prossimo e nel lontano futuro. Stiamo anche ampliando il nostro team, e facendo crescere l’Academy. La community della nostra Academy al momento conta centinaia di membri, ma arriverà a migliaia. Inoltre, lo scorso anno abbiamo lanciato il nostro progetto più ambizioso – Krisos – che ha lo scopo di facilitare la transizione a organizzazioni più umane. Acquisiamo attività che sono in difficoltà e le trasformiamo radicalmente in luoghi di lavoro più coinvolgenti, riducendo la gerarchia, migliorando la gestione personale, creando maggiore equità, introducendo trasparenza radicale, condividendo i profitti e distribuendo le decisioni. Di conseguenza, queste aziende hanno maggiore coinvolgimento, maggiore produttività, meno assenteismo, maggiori salari e maggiori profitti. Dopo la trasformazione, puntiamo a vendere le società come cooperative ai dipendenti, oppure farle diventare strutture controllate da persone profondamente motivate e responsabili di guidare l’impresa mantenendone la mission (la cosiddetta steward-ownership) per assicurare sostenibilità, autonomia e scopo nel lungo termine.
A cura di Erica Premoli