ASS MALICK NDIAYE Dalla Légion étrangère al sogno di rivoluzionare lo sport a Como

Ass, quanti anni hai? “Sono un legionario. Ci sono informazioni che non si possono sapere e questa è una di quelle. Abbiamo un codice d’onore da rispettare”. Inizia così, e non è un film, l’intervista ad Ass Malick Ndiaye, senegalese, che da otto anni ha scelto Como come sua città d’adozione.

Conosciuto da tutti come Ass, l’ex sergente maggiore dello storico corpo militare d’élite dell’esercito francese è apprezzato da tanti comaschi che hanno imparato a conoscerlo, scoprendo che dietro, anzi dentro, una montagna di muscoli forgiati da anni di esercitazioni, c’è un cuore grande. Grandissimo. “Ho un profondo senso di giustizia. Se vedo due persone che litigano devo intervenire per dividerle. È più forte di me. L’ho sempre fatto e continuerò a farlo, perché altrimenti mi sentirei in colpa per non aver fatto nulla”. Negli occhi neri e profondi si legge subito la lealtà che quest’uomo ha appreso negli anni da legionario, cifra del suo carattere insieme a tanta determinazione, volontà e costanza: “Senza queste tre doti puoi avere tutto l’aiuto del mondo, ma non vai da nessuna parte”.

Non dimentica le sue origini umilissime: “Sono nato a Dakar in una famiglia molto povera. I miei genitori si sono separati quando ero ancora piccolo e mia madre ha avuto altri 10 figli, mentre mio padre altri 6. Per andare a scuola dovevo percorrere 18 km a piedi nudi sotto un sole cocente con il terreno che scottava. Correvo sempre per non sentire bruciare la pianta dei piedi. E quando tornavo a casa, dopo altri 18 km, la prima cosa che mia madre mi chiedeva era di andare ad attingere l’acqua dal pozzo a qualche chilometro di distanza, per tornare con una pesante tinozza sulla testa. Nella cultura africana – sospira Ass – i figli devono contribuire da subito a sostenere la famiglia. Prima, fin da piccolissimi, con il lavoro manuale e poi da adulti con i soldi guadagnati. Sono 25 anni che mando a mia madre 500 euro al mese per sostenerla per l’affitto e la scuola dei miei fratelli più piccoli. E se mi capita di tardare qualche giorno mi arriva la telefonata che mi fa sentire subito in colpa”. C’è tanta differenza con l’Europa: “Lo dico sempre ai ragazzi italiani che alleno: rispetta tuo papà e tua mamma che fanno di tutto per te. In Italia i genitori accompagnano i figli a scuola, a ballare la sera, gli danno i soldi per ogni cosa. Io non ricordo una volta che sia capitato di essere stato accompagnato a scuola”.

La curiosità su come sia avvenuto il suo reclutamento nella Legione straniera non riusciamo a trattenerla: “Fin da piccolo ho sognato di diventare militare. La Legione straniera dell’esercito francese mi affascinava, tanto da spingermi a studiare la lingua francese con l’ambizione di essere scelto per questo corpo d’élite. Ho iniziato la mia carriera militare nell’esercito senegalese per poi fare domanda e vincere la selezione tra 200 militari candidati che ambivano ad entrare nella Legione. Sono stato addestrato in Francia con una formazione molto dura per prepararci agli interventi internazionali e, negli anni, sono arrivato al grado di sergente maggiore con la responsabilità di oltre duecento uomini. Tutto questo contro la volontà dei miei genitori che non amavano la vita militare. Ogni volta che ero in missione e chiamavo mia madre la sentivo piangere perché temeva per la mia vita. Così, dopo cinque anni di Legione straniera, avvenne un fatto che mi portò a lasciare: eravamo in Liberia e subimmo un’imboscata. Mi spararono, fratturandomi due costole. Avevo rischiato la morte. A quel punto decisi di congedarmi”.

Il racconto di Ass è un flusso continuo, interrotto solo da un intercalare, forse non del tutto consapevole, accompagnato dallo sguardo perso nei ricordi che a tratti si rattrista: “Ho visto tante cose. Tante”. Non proviamo neppure a chiedere quali, certi che la risposta sia la stessa dell’inizio di questa conversazione. Allora andiamo oltre e poniamo la domanda di rito.

Ass, com’è iniziata la tua vita in Italia e perché hai scelto proprio il nostro Paese?

Sono sempre stato affascinato dalla storia di Roma antica. Ammiravo la figura dei gladiatori e ho sempre pensato che i romani fossero un popolo con gli attributi. Per questo, quando mi sono congedato, ho accettato volentieri l’invito di un amico che viveva a Como che, conoscendo la mia passione, mi ha proposto di visitare Roma. Pochi giorni dopo il mio arrivo nella vostra città mi sono iscritto in una palestra perché dopo lo stop in seguito alla sparatoria dovevo riprendere i miei allenamenti. E lì è accaduta una cosa particolare: i clienti, vedendo il mio workout militare, chiedevano informazioni al proprietario della palestra su chi fossi e se potessi insegnare loro la mia disciplina. Non parlavo nemmeno italiano ma due giorni dopo il mio arrivo ero già diventato istruttore della palestra. Ma, come spesso accade, questo non è stato l’unico episodio.

Cos’altro è accaduto?

Ricordo come fosse ora: erano trascorse solo tre settimane dal mio arrivo a Como. Faceva molto caldo e sono entrato in canottiera al supermercato vicino al lago. Mi avvicinano due persone che scopro essere il direttore e il vicedirettore, mi guardano e mi dicono che con me si sarebbero sentiti più sicuri in negozio. Mi hanno fatto un colloquio e il giorno dopo ho iniziato il mio secondo lavoro nella sicurezza di questo supermercato nel quale oggi sono addetto ai reparti.

Hai incontrato qualche difficoltà?

Proprio nell’ambito della sicurezza ho avuto una brutta esperienza. Avevo sorpreso un tentativo di furto nel supermercato e i ladri, un tunisino e un curdo, invece di arrendersi o scappare hanno tentato di aggredirmi con un coltello che aveva una lama da 40 cm (ci mostra la foto, ndr). Sono riuscito a disarmarli mandandoli entrambi all’ospedale.

Una domanda che non possiamo non porgerti: c’è mai stato un episodio di razzismo nei tuoi confronti da quando sei a Como?

Grazie a Dio non mi è mai accaduto. Però sono convinto che alla base ci sia sempre l’educazione. Mi sono sempre comportato in modo educato e penso che abbia contato molto. Sono convinto che, quando sei ospite di un Paese, non devi fare quello che non vorresti che gli stranieri facciano nel tuo Paese di origine. Purtroppo noto spesso ragazzi africani ai giardini in riva al lago che commettono reati come spaccio o molestie, o altri che pretendono di viaggiare gratis sui mezzi pubblici, e mi fa molto male. Perché sono loro a mettere in cattiva luce gli extracomunitari, a farsi voler male. La legge italiana dovrebbe essere più severa. L’Italia ti accoglie, ti dà da mangiare, spesso anche i vestiti, e tu non puoi ringraziare spacciando droga o trattando male la popolazione. È una cosa che non posso accettare. Spesso quando vedo queste persone, anche se hanno lo stesso colore della mia pelle, non le saluto nemmeno.

Quando dici grazie a Dio, intendi il Dio cristiano?

Io sono musulmano, ma quando rivolgiamo le mani verso il cielo preghiamo tutti lo stesso Dio. Il mio Dio e il tuo Dio sono lo stesso.

Ti piace il nostro Paese?

Il popolo italiano mi piace molto. Devo ringraziare diversi italiani che mi hanno aiutato tanto. Per questo ho deciso di restare qui. Mi piacerebbe investire nel campo sportivo. Il mio sogno è rivoluzionare lo sport a Como. Vorrei fare cose in questo campo che i comaschi non hanno mai visto. Mi piacerebbe aprire una palestra diversa da quelle che esistono già, in cui mettere a disposizione di tutti la mia esperienza e il mio addestramento nel settore militare. Vorrei fare tutto con le mie forze perché non mi piace avere debiti con le banche. Se ci fossero sostenitori che credono in questo progetto, io sono pronto.

Hai mai pensato di tornare a lavorare nel tuo Paese di origine?

Ogni tanto ci penso. Mi piacerebbe tornare per aiutare i bambini orfani. In Senegal c’è ancora tanta povertà. Vorrei aiutarli a studiare, insegnare loro un lavoro. Ma anche in questo caso da solo non posso farcela. È fondamentale avere il supporto di qualcuno.

C’è un consiglio che ti senti di dare ai giovani?

Ai ragazzi dico sempre di mettere i loro genitori al primo posto. Di ringraziarli. Di collaborare con loro. Spesso sembra che mamma e papà stiano privando della libertà i propri figli, mentre in realtà lo fanno per il loro bene. E poi vorrei chiudere questa intervista dicendo una cosa importante.

Siamo qui per questo. Qual è?

Ho girato il mondo e posso dire che gli stranieri che hanno la fortuna di vivere qui devono ringraziare gli italiani perché non esiste un altro popolo capace di accogliere come voi. Scrivilo per favore.

A cura di Stefano Rudilosso