LA LEADERSHIP GENTILE: intervista a Daniel Lumera

Daniel Lumera, sociobiologo, è riferimento internazionale nell’area delle scienze del benessere, della qualità della vita e nella pratica della meditazione, che ha studiato e approfondito con Anthony Elenjimittam, discepolo diretto di Gandhi. È inoltre ideatore del metodo My Life Design®, il disegno consapevole della propria vita professionale, sociale e personale, e fondatore della My Life Design Onlus vocata a declinare il metodo in contesti educativi e nell’ambito di giustizia, sanità e ambiente, della My Life Design Academy, dell’Accademia dei Codici, dell’International School of Forgiveness (I.S.F.) e della Giornata Internazionale del Perdono, palcoscenico internazionale volto a favorire il dialogo tra le istituzioni e personaggi di spicco del mondo della cultura, dell’arte, dell’economia e della scienza, affinché si impegnino in maniera pragmatica alla diffusione di una cultura della pace e della consapevolezza. L’evento, nato nel 2016, ha visto coinvolte figure del calibro di Tara Gandhi Bhattacharjee, nipote del Mahatma, Yolande Mukagasana (candidata al Premio Nobel per la Pace), Terry Waite, Ervin László, Scarlett Lewis e molte altre, oltre ad aggiudicarsi prestigiosi riconoscimenti da UNHCR, Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, Ministero della Giustizia e, per le ultime tre edizioni, la medaglia della Presidenza della Repubblica italiana per l’alto valore culturale riconosciuto alle iniziative collaterali all’evento stesso; il progetto, infatti, ha visto coinvolti oltre 10.000 ragazzi di istituti superiori in tutta Italia, più di 2.000 detenuti in 16 carceri italiane e 2.000 operatori del settore sanitario in sole quattro edizioni. Autore di bestseller di successo quali “La cura del perdono” e co-autore insieme a Franco Berrino di “Ventuno giorni per rinascere” e “La via della leggerezza”, è del 2020 la sua ultima pubblicazione per Mondadori scritta insieme alla docente di Harvard Immaculata De Vivo, “Biologia della Gentilezza”, che si è aggiudicata il primo posto nella sezione “Scienze della vita e della salute” del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica – Giancarlo Dosi, edizione 2020. Il volume, in meno di un mese dalla sua diffusione, ha dato origine al movimento “Italia Gentile” coinvolgendo migliaia di persone, enti, comuni e città in tutto il territorio, oltre alla Repubblica di San Marino, primo “Stato gentile”.

Ed è proprio Daniel Lumera, gentilissimo, ça va sans dire, nel concederci immediatamente un appuntamento, che incontriamo per approfondire gli interessanti temi trattati nel suo viaggio per comprendere a pieno il potere della mente e i segreti della consapevolezza.

Daniel, partiamo dal principio. Tu sei un sociobiologo. Cosa significa?

La mia formazione parte con una laurea in scienze naturali e prosegue con un assegno di ricerca all’Università di Siena nell’area della sociologia della comunicazione e dei processi culturali. Quindi, ho unito la sociologia e la biologia, due saperi che normalmente sono apparentemente distanti fra loro e in tutti i processi di trasformazione sociale inserisco l’aspetto genetico, biologico.

Da dove nasce questa propensione a specializzarsi nell’ambito di un concetto relativamente nuovo, quello del benessere?

La parola chiave è consapevolezza. Ho iniziato a lavorare sul benessere, proprio per l’Università, nell’ambito della formazione del personale medico – sanitario, toccando argomenti fortissimi come l’accompagnamento al morente, l’elaborazione del lutto e della sofferenza, la gestione dello stress nel 118 o nel pronto soccorso. Avevamo necessità di un approccio attraverso tecniche esperienziali altamente pragmatiche, altrimenti il concetto di benessere sarebbe rimasto aereo. Per cui abbiamo recuperato dalle tradizioni sapienziali millenarie antiche, validate dalle neuroscienze e da scoperte recentissime, tutti gli strumenti e i metodi che possano avere un impatto immediato sulla qualità della vita a livello fisico, vitale, emozionale, mentale, nelle relazioni con il passato e infine nella sfera esistenziale. Si tratta di un approccio trasversale in un ambito in cui è stato dimostrato dalla scienza che la qualità delle emozioni, la nostra dieta emozionale, ha un impatto sul benessere fisico, che la qualità dei pensieri si traduce in reazioni biologiche dove è accertato che la mente ha un potere sul DNA e sulla genetica. Ma, se devo essere sincero fino in fondo, tutto questo parte da un’esperienza molto personale. Io sono stato un monaco laico della tradizione indovedica. Ho avuto la fortuna di imparare la meditazione con uno dei discepoli diretti di Gandhi che è stato un mio mentore e ho potuto verificare come questa pratica fosse un formidabile strumento per stare bene. E ho declinato subito tutto questo nei miei studi e nel nostro stile di vita. Mi piace ricordare che Steve Jobs è stato il primo a introdurre in azienda, la Apple, la stanza della meditazione e poi è stata seguita dalle principali aziende del mondo come la Virgin o la McKinsey che fa studi sull’impatto della meditazione nella sfera aziendale. Insomma, abbiamo una letteratura scientifica ricchissima di studi sulla relazione che c’è tra benessere e produttività, benessere e creatività.

Su Steve Jobs ci torniamo a breve, ma parliamo un momento del tuo ultimo successo editoriale, “Biologia della Gentilezza”. Un vero e proprio viaggio nel quale, insieme alla scienziata Immaculata De Vivo, ci accompagni per comprendere appieno il potere della mente sui geni, i segreti della longevità, l’importanza di saper creare relazioni felici per la salute e la qualità della vita. In questo libro emergono con forza due strumenti fondamentali. Gentilezza e meditazione. Perché sono così importanti?

Innanzitutto, vorrei chiarire che entrambe sono, a tutti gli effetti, vere e proprie medicine naturali. È la scienza che lo afferma. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che i tre pilastri del benessere sono: sana alimentazione, movimento fisico e meditazione. E c’è un’enorme letteratura scientifica che dimostra come sia la gentilezza che la meditazione abbiano un impatto positivo nei processi di invecchiamento, quindi nei telomeri (piccole porzioni di Dna che si trovano alla fine di ogni cromosoma con un importante ruolo nel determinare la durata della vita di ciascuna cellula, l’orologio della nostra longevità, ndr), nei processi di infiammazione che scatenano tantissime malattie croniche, tra cui anche i tumori, impattano sul tono dell’umore, sui processi cognitivi come chiarezza mentale e presenza, sulla memoria. Negli USA, il CDC Centers for Disease Control and Prevention (il centro di controllo e prevenzione della malattia, ndr) ha dichiarato la meditazione come il trend sanitario più forte dell’anno scorso. Giusto per capire il fenomeno: dal 2013 al 2017 i meditatori sono triplicati. Questo significa che si sta scoprendo che l’igiene interna mentale ha un impatto sulla qualità della vita e sulla qualità professionale enorme. Su produttività, su capacità di stabilire relazioni proficue, e molto altro. Ma perché gentilezza e meditazione sono due grandi provocazioni? Noi abbiamo creato il nostro sistema economico su un modello antropocentrico competitivo. Dati alla mano, con Immaculata De Vivo abbiamo dimostrato che la strategia migliore non è l’imposizione o la competizione, lo è, invece, la gentilezza, la cooperazione, l’interconnessione. Si deve passare da un sistema antropocentrico ad uno biocentrico, dove non è più l’uomo ma la vita ad essere al centro.

Ci fai un esempio concreto?

Beh, è semplice. Pensa a quali sono le aziende di successo a livello mondiale di questi ultimi anni. Facebook, Instagram, Airbnb, Uber. Ebbene queste aziende devono il loro successo alla capacità di creare interconnessione. Uber non ha un taxi e Airbnb non ha un appartamento, Facebook è il più grande produttore di contenuti che, in realtà non sono suoi. Ma hanno saputo connettere le persone. Tutti gli elementi che creano reciprocità, gentilezza inclusa, sono favoriti dall’evoluzione verso questo sistema. In ogni caso, non possiamo dimenticare che vedere una persona gentile stimola una serie di ormoni come l’ ossitocina (l’ormone che aumenta i comportamenti pro-sociali come altruismo, generosità ed empatia e ci porta ad essere più propensi a fidarci degli altri) e ci fa stare bene.

Torniamo alla meditazione, perché è una provocazione?

La meditazione è l’antidoto a una società che non riesce a fermarsi ad ascoltarsi, che è totalmente schiava di regole di mercato. Noi non inseguiamo esigenze che servono a noi, ma le aspettative che la società ha su di noi e ci riduciamo a dover andare in un bosco, liberi da ogni condizionamento, per poter tornare ad ascoltarci. Capisci che c’è qualcosa che non funziona in questo sistema? Allora, la meditazione è lo strumento che ci consente di fermarci, di entrare in un ritmo differente, di riscoprire le nostre esigenze e trovare energia, chiarezza e coraggio per poterle realizzare. Quindi, sia gentilezza che meditazione rappresentano due medicine naturali necessarie a causa del nostro modo di vivere, che è meraviglioso ma c’è qualcosa che va aggiustato. La forza di quanto stiamo dicendo sta nell’unione tra scienze e tradizioni millenarie.

Nel tuo libro parli di una leadership gentile, richiamando la tematica aziendale che, naturalmente, interessa in modo particolare i lettori della nostra intervista. Cosa significa e per quale motivo può essere uno strumento più efficace rispetto alla leadership impositiva?

Noi siamo abituati a caratteristiche maschili, basate sull’imposizione, sull’autorità e sulla performance individuale. Da un recente studio scientifico di Google su 160 team al suo interno, per capire quali fossero i  fattori dei gruppi che determinassero una produttività migliore, è emerso che i gruppi che producevano di più erano quelli dove c’erano gentilezza e fiducia. Perché creano una situazione di familiarità dove le persone tirano fuori il meglio, dove si crea maggiore identità aziendale. La gentilezza, quindi, cosa fa? Abbassa il livello di conflitto. Passa dall’io al noi. Crea reciprocità. Si aumenta la voglia di costruire insieme. Fa sì che le persone si prendano cura le une delle altre. Questo è un tipo di leadership che chiamiamo femminile, caratterizzato da gentilezza, compassione, ottimismo, felicità. Tutte caratteristiche alle quali normalmente noi attribuiamo un’accezione di debolezza. Invece personaggi come Mandela, Gandhi, ci hanno insegnato che si può cambiare il mondo attraverso questo tipo di attitudini, perché sono delle forze evolutive. Tutto questo lo si può esercitare in azienda sia all’interno che verso l’esterno. D’altronde, la sfida attuale per gli imprenditori, il vero coraggio, non è fare i soldi, ma come farli, come generare la ricchezza. Si inverte il paradigma che non è più accumulare ma la qualità del tuo saper donare, l’impatto sociale di ciò che si fa. E lì si misura il vero valore dell’impresa.

Non c’è il rischio che alcune persone scambino la gentilezza di un leader per debolezza e tentino di approfittarne per proprio tornaconto?

Vedi, questo è un luogo comune. Io non sto parlando di autorità, ma di autorevolezza. L’avvocato Agnelli diceva una grande cosa: “La donna di classe non è quella che fa fischiare gli uomini quando passa, ma quella che crea il silenzio”. Un leader gentile sai che lavora per te, non ha bisogno di autoaffermare la sua leadership, perché si sente anche se è quasi impalpabile. Gentile non vuol dire essere stupido. La parola deriva dal latino gens: una sorta di famiglia nobile allargata con reciproci doveri di difesa e assistenza. Era un nucleo di appartenenza non biologico di persone con elevate qualità morali che avevano cura gli uni degli altri. E se sai che uno si prende cura di te, non ti viene il desiderio di fregarlo o approfittarne. Prestiamo bene attenzione ad una cosa: gentilezza non vuol dire il premio o la carota che do all’asino. Il leader gentile fa capire che c’è una missione, che ci sono valori condivisi, che io ti rispetto e tu mi rispetti e bisogna produrre per crescere, ma lo si fa perché si sta bene e farlo crea benessere.

Sono noti i casi di leadership per nulla gentile, una su tutti quella di Steve Jobs che sferzava i propri collaboratori fino all’offesa sostenendo che suo compito non era quello di essere simpatico ma ottenere il massimo da loro, che però hanno favorito vere e proprie rivoluzioni in ambito tecnologico. Secondo te anche una leadership gentile potrebbe scatenare una rivoluzione di questo tipo o per certe cose un po’ di durezza è indispensabile?

A me piace dire una cosa: bisogna imparare ad arrabbiarsi in pace. Io non dico che non bisogna utilizzare la rabbia. Bisogna utilizzare tutto. È come si utilizza la rabbia che fa la differenza. C’è una rabbia che è gentile. Quando l’intento sotto la rabbia è formativo, costruttivo, va bene, perché tirerà fuori il meglio dagli altri, scuotendoli se ce ne fosse bisogno. Non confondiamo la gentilezza con il buonismo. Stiamo parlando di una gentilezza passionale, di muoverci verso un senso di reciprocità rivoluzionario: nel riconoscere che dal benessere dell’altro dipende la mia vita, la mia salute. Questo è il principio di interconnessione, quello che gli africani chiamano ubuntu, ovvero il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri. Una sorta di legame universale di scambio che unisce l’intera umanità. Tutto questo, ovviamente, non preclude l’essere fermo o il tirare fuori il meglio dagli altri. Si tratta di avere caratteristiche nuove che arricchiscono la personalità. I conflitti, all’interno di un’azienda o delle relazioni umane in genere, sono inevitabili. Ciò che fa la differenza è la gestione del conflitto. Renderlo costruttivo, come la critica. Non facciamo un discorso buonista, del “volemose bene”. No. Quando c’è da incazzarci ci si incazza, ma lo facciamo in pace, sempre con intento costruttivo, rispettando l’altro. Gentilezza non è il sorriso falso, ma un processo interno importante inclusivo, che porta l’altro, il suo benessere all’interno delle tue priorità. Ed è una sfida che solo i migliori sapranno vincere.

Quindi un po’ di stress ci può stare per portare al raggiungimento dell’obiettivo?

Ma certo. Lo stress è fondamentale. È un elemento di sopravvivenza. Quello che conta è saper creare uno stress positivo e non uno negativo. Una cosa è stare in azienda con un clima di terrore, dove non sai se ti cacciano se non raggiungi il risultato, altra cosa è mettere i collaboratori in condizioni di dire: io di quest’uomo, del leader, mi fido, cerco di dare il mio meglio, ma sentendomi a casa. È tutto un altro modo di lavorare. La produttività aumenta. È come con la meditazione. La società di gestione e consulenza McKinsey & Co potrebbe sembrare un posto strano dove trovare la meditazione, ma ormai l’azienda ha abbracciato la pratica come parte di una nuova strategia per le risorse umane volta a mantenere i dipendenti felici e in salute. Ha sviluppato non solo programmi per i propri dipendenti, ma anche per altre società multimilionarie: emblematico uno degli ultimi programmi di meditazione sviluppato per un cliente australiano che gli ha permesso di risparmiare oltre 20 milioni di dollari. Nel caso ci fossero ancora dubbi, Bertolini, che gestisce Aetna, una delle 100 maggiori compagnie americane per fatturato, ha organizzato programmi meditativi per oltre 14.000 dipendenti che hanno riportato, in media, una riduzione del 28% dei livelli di stress, un miglioramento del 20% nella qualità del sonno e una riduzione del 19% di dolore o tensione fisica. Hanno inoltre dimostrato una maggiore efficacia sul lavoro, guadagnando in media 62 minuti a settimana di produttività ciascuno, che secondo Aetna valgono $ 3.000 per dipendente all’anno. La domanda di programmi meditativi continua a crescere ed ogni classe è sold out. Investire sul benessere e sui valori è davvero un investimento. Le persone si ammalano meno e si appassionano al lavoro. Bisogna che gli imprenditori osino, entrino in un nuovo paradigma.

Molte imprese, anche locali, sono avanti sui temi del welfare e della sostenibilità. Potrebbero essere considerati un primo passo verso la gentilezza aziendale?

Paradossalmente c’è il rischio che queste si focalizzino troppo su tematiche già affrontate. In realtà il percorso verso la gentilezza aziendale prescinde da esperienze precedenti. Può essere iniziato da chiunque, in qualsiasi momento. Mi fa piacere aggiungere che quando è stato lanciato il libro, proprio su questo libro è nato un movimento che si chiama Italia Gentile. Hanno aderito 200.000 persone e anche diversi Comuni, i quali hanno iniziato a sottoscrivere un manifesto con sette indicazioni concrete per diventare Comune Gentile. Per esempio, devono individuare parchi di gentilezza, progetti nelle scuole e molto altro. E mi piacerebbe che Como diventasse il primo Lago Gentile d’Italia. Si è creata una rete di città incredibile, dove troviamo persino Corleone, che ha creato il Parco della Gentilezza, in cui ogni albero porta un fiocchetto rosso, simbolo della lotta contro la violenza sulle donne,  o, ancora, Palermo, Bari, Chieti e molti altri. Si è creata una rete spontanea di gentilezza che fa comprendere quanta necessità ci sia di questo valore.

In un passaggio del tuo ultimo libro affermi che in un mondo sempre più competitivo che celebra come valori l’avere o l’apparire, l’antidoto è quello di riequilibrarsi riscoprendo il sapere essere. Cosa significa saper essere e come si raggiunge questa consapevolezza?

La ricchezza in questa società si crea attraverso quattro grandi saperi, più un quinto sapere di cui parlerò nel nuovo libro in uscita a maggio. Il primo è il saper fare: le imprese devono sapere fare. Il secondo è il saper avere e il saper dare, perché dallo scambio si crea la ricchezza. Il terzo è il saper apparire e possiamo verificarlo pensando a quante nuove professioni si basano sul saper apparire. Ma ne manca uno, il più antico: il saper essere. Se una persona integra questi quattro grandi saperi accede ad un livello di ricchezza, di prosperità, di interconnessione e di scambio estremamente più grande. D’altronde è scientificamente provato che se in azienda si introduce il quarto sapere, che è basato sul riconoscimento dei valori, sull’empatia, sull’inclusione, migliora la produttività e il benessere interno. Ma cosa significa, come mi hai chiesto, saper essere? Significa trarre felicità dal solo fatto di esistere. Si chiama felicità esistenziale e ci si rende conto di essa quando la mente accede ad uno stato di silenzio. Accade con la meditazione, con una passeggiata solitaria nel bosco. In quel momento ci si rende conto del miracolo della vita. Del valore della vita. È una felicità celebrativa che si raggiunge con la quiete della mente, apprezzando ciò che esiste nell’istante. Poter respirare, camminare. Ed è rigenerativo. Mezz’ora di questo stato ha il medesimo effetto benefico di sei ore di sonno. Quando la mente raggiunge questo stato è ricca di meraviglia, di creatività. Diventa un fattore fondamentale della qualità della nostra vita e di ciò che creiamo in ogni singolo istante.

Qual è il primo suggerimento che daresti ad una persona che volesse intraprendere il percorso della gentilezza?

Io partirei da due cose. La prima è quella di introdurre una sana abitudine nella propria vita: compiere tre atti di gentilezza al giorno. Uno verso un essere umano, uno verso la natura e il terzo verso un animale. Sembrano cose banali, ma la scienza ci dice che si tratta del miglior investimento su salute, benessere e longevità che possiamo fare. Con tre gesti al giorno, nell’arco di un mese, cambiano radicalmente molti aspetti della nostra vita. Il secondo suggerimento è quello di iniziare a meditare. Chi vuole può farlo anche attraverso i miei percorsi gratuiti su YouTube, a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone, o ad esempio grazie alle meditazioni guidate presenti su Audible, la piattaforma di Amazon per i podcast. È un progetto nato in collaborazione con Emiliano Toso e la sua musica a 432 Hz, che ho chiamato BENESSEREH24 perché divido l’intera giornata in 4 momenti. La meditazione della mattina per energizzare e partire forti. Quella di mezzogiorno che favorisce l’attenzione, la concentrazione, la memoria e la chiarezza mentale. La sera le pratiche di rilassamento e la notte le pratiche per migliorare il sonno e addormentarsi bene. Non c’è bisogno di essere monaci per farlo. 10 minuti al giorno possono cambiare la vita.

Torno un attimo sul primo suggerimento: i tre atti di gentilezza quotidiani. Recentemente a Como è successo un episodio davvero grave: una donna uscita da un supermercato, vedendo un homeless che chiedeva soldi gli ha offerto un panino; hanno poi percorso un tratto di strada insieme e questo invece di mostrare la propria gratitudine ha violentato la donna che lo aveva appena aiutato. Grazie alla telefonata di un cittadino le forze dell’ordine hanno colto sul fatto il reo e ora è in atto un processo. Cosa rispondi all’obiezione di chi, davanti ad un fatto del genere, avrebbe molto da obiettare rispetto all’atto di gentilezza?

Mi verrebbe da dire che purtroppo questi casi ci sono e continueranno ad esserci. Il punto però è cosa tu scegli. Se tu davanti ad un atto come questo generalizzi, smetti di essere gentile ed anzi diventi scontroso, dove andiamo a finire? La gentilezza non può estinguersi per l’errore di una persona. Quella persona non è giustificabile, ma non si può pensare di togliere la gentilezza a chiunque altro. La forza di questa società è quella di non reagire all’odio con altro odio. Di non reagire alla violenza con altra violenza. È questa l’evoluzione se vogliamo essere umani. Altrimenti la legge della giungla prende il sopravvento. Bisogna essere forti. Essere gentili non vuol dire essere stupidi. Questa persona va fermata, va isolata, va compresa la ragione del suo disagio, va curata per evitare che ci siano recidive, reiterazioni. Ma l’altra persona non può cessare di essere gentile. Altrimenti è un fallimento di tutti. Il pericolo è la generalizzazione. Non sto dicendo che sia semplice, ma se iniziamo a essere umani una soluzione la troviamo.

 

A cura di Stefano Rudilosso