SOGNANDO CALIFORNIA PER FARCELA IN ITALIA

Tiziana Tripepi ed Eleonora Chioda

Sogna, credici, realizza. È l’imperativo categorico che compare sotto l’iconico titolo Silicon Valley del bellissimo libro scritto a quattro mani da Eleonora Chioda e Tiziana Tripepi, rispettivamente caporedattrice e giornalista di Millionaire, il mensile di business più letto in Italia. Un libro con una grafica così originale ed accattivante che diventa essa stessa parte fondamentale della narrazione. Un libro che è tre libri in uno. Anzi quattro. O forse più. Perché è racconto di un viaggio, raccolta di interviste, manuale per futuri imprenditori, persino un dizionario delle parole della Silicon Valley e vera e propria guida turistica, completa di cartine, consigli di itinerari e ristoranti, che fa tanto Lonely Planet. Proprio come lo ha definito anche il Corriere Innovazione, “la Lonely Planet per turisti dell’innovazione”. Turismo e innovazione per fare business, ovviamente. Eleonora e Tiziana, infatti, hanno fatto un viaggio e lo hanno voluto raccontare, trasformando questa esperienza in un manuale per tutti coloro che desiderano ancora sognare, crederci e realizzare la propria azienda magari proprio in Silicon Valley o, ancor meglio, in Italia, ma spinti dall’energia che solo in quel piccolo spazio di 80 kmq in California si percepisce. Un luogo, come affermano le autrici, che non è per tutti. “È riservato all’eccellenza del mondo. Farcela è difficilissimo, non devi essere bravo ma bravissimo. Devi aver voglia di giocare alle sue regole: lavorando 24 ore al giorno, 7 giorni su 7”.

Ma è anche il luogo dell’ottimismo, come afferma Riccardo Luna, già direttore di Wired Italia, Chefuturo! e collaboratore di Repubblica, nella prefazione del libro: “Nella storia dell’uomo non ricordo un solo pessimista che abbia davvero cambiato le cose in meglio. Realizzato un sogno. Per questo, se me lo chiedessero, anche oggi direi: prendete un aereo, andate in Silicon Valley, fate il pieno di ottimismo. E datene un po’ anche a noi”. Oppure, se non potete proprio andarci, fate come esortano le autrici del libro: “leggete le nostre pagine: le abbiamo dedicate a voi, che avete sempre voglia di imparare. Sognando California. Per farcela in Italia”.

Com’è nata l’idea di scrivere questi tre o, addirittura, quattro libri in uno sulla Silicon Valley?

Questo libro nasce proprio da un viaggio in Silicon Valley. Era il 2018, l’annus horribilis delle grandi aziende tecnologiche. Si parlava della dittatura dell’algoritmo, di Cambridge Analytica e dei diversi scandali che hanno investito questo territorio. La nostra casa editrice, la Hoepli, ci esortava a scrivere un nuovo libro con l’obiettivo di proseguire il successo del best seller “Startup”, pubblicato nel 2016. Si trattava di buttarci in una nuova avventura che trovava le sue origini nelle tre guide sulle grandi storie della Silicon Valley che avevamo scritto e allegato alla rivista Millionaire nel 2012. E la spinta a scriverlo ci è arrivata proprio conversando con gli imprenditori della Silicon Valley. Quando sei lì senti una spinta fortissima a dar vita ai tuoi progetti, a far accadere le cose. E anche l’idea di strutturarlo come tre libri in uno è stata ispirata proprio da una conversazione in California. Poi, ovviamente, la nostra esperienza giornalistica ci ha offerto lo stile insolito per un libro che si può notare già solo sfogliandolo.

Un capitolo del vostro libro s’intitola: “Silicon Valley is a state of mind”. Cosa significa?

La Silicon Valley non è un’area geografica. È proprio un modo di pensare diverso. Quando arrivi lì impari che non devi aver paura di fallire. Ovunque senti nell’aria la spinta a fare qualcosa, a provarci. Chiunque a cui parli di un tuo progetto ti dice: “perché non lo fai? Che Cosa aspetti?” Lo stesso Federico Faggin, padre del microchip, ci ha raccontato: «Ho scelto di vivere in California dove è più facile sentire “Sì”. Dove puoi provare, riprovare e fallire senza paura. In Italia se fallisci ti mettono in castigo». Non è un caso che gli investitori danno più soldi ai founder che hanno già fallito con altre startup. Ci sono anche altri due aspetti importanti che fanno parte di questo modo di pensare: la condivisione delle idee e il “Pay it forward”. In Silicon Valley non si teme di parlare del proprio progetto. Impera la filosofia della condivisione, perché la vera paternità di un prodotto non è del primo che ha avuto l’idea ma del primo che è riuscito a realizzarla meglio. Il “Pay it forward” è un altro concetto che esiste solo qui. Non esiste nemmeno in altre parti d’America. Significa: ti aiuto senza volere nulla in cambio, sarò ripagato dopo. Una filosofia davvero unica, un vero e proprio circolo virtuoso che nasce negli anni ’70, in questo luogo della controcultura rivoluzionaria. Si racconta che Steve Jobs da ragazzino chiamò Bob Noyce, CEO di Intel, chiedendogli di poterlo incontrare. E Noyce gli disse subito sì. A sua volta il fondatore di Apple diventò il mentore di Zuckerberg, di Larry Page e altri geni delle aziende tecnologiche californiane. Generazioni di imprenditori che aiutano la generazione successiva a crescere con finanziamenti e mentorship sono uno dei più importanti e spesso non riconosciuti segreti della Silicon Valley.

Quanto ha contribuito l’Università di Stanford?

Stanford e Berkeley hanno contribuito più di ogni altra cosa a fare di questo luogo una concentrazione di talento e ricchezza. Il professor Frederick Terman, poi rettore di Stanford, è considerato uno dei padri della Silicon Valley: fin dal 1938 spingeva gli studenti di ingegneria a fare impresa. Sarà lui a spronare Hewlett e Packard a partire, finanziando con i primi 500 dollari la Hewlett-Packard. Altro aspetto non trascurabile è stato il grande afflusso di capitali statali che il governo inviava alle università per promuovere la ricerca in ambito militare nel periodo della guerra fredda. Questi fondi stimolarono un’innovazione continua e un circuito virtuoso che ancor oggi, dopo 50 anni, fa la differenza. Infine, l’abolizione, solo in questa zona, della legge che vietava ai fondi pensione di investire in startup ha permesso di aumentare esponenzialmente la presenza di venture capitalist che hanno avuto e, tuttora hanno, un ruolo fondamentale nello sviluppo della Silicon Valley.

La parola ripetuta come un mantra da tanti intervistati quasi in ogni pagina del libro è energia. Voi ci siete state in Silicon Valley e potete confermare che è proprio così l’atmosfera che si respira in quella striscia di California. Ma, concretamente, cosa significa?

È molto semplice: significa voglia di fare, di provarci, di non aver paura delle conseguenze dei tuoi errori. Quando sei lì vorresti avere le giornate molto lunghe per ascoltare tutti. Ovunque ti giri c’è qualcuno che fa qualcosa di rivoluzionario e vorresti assorbire tutto. In ogni bar o ristorante si ascoltano persone discutere di nuove app, nuovi progetti, invenzioni. E tutto ciò è altamente contagioso. È un posto pieno di ”invasati” che non pensano ad altro che a creare il futuro. È anche un posto meraviglioso dove vivere. Il clima, il cibo, la vicinanza del mare e delle montagne, la presenza di un crogiolo di culture diverse – il 50% delle persone che vive lì non parla inglese in famiglia – lo rende davvero unico e attraente.

C’è ancora l’ansia di voler cambiare il mondo?

Assolutamente sì. L’ansia di voler saltare su “the next big thing” è così forte che gli ingegneri, pur strapagati e coccolati con benefit per noi impensabili, non stanno nella stessa azienda più di un anno e mezzo. Il loro desiderio di contribuire a cambiare il mondo è troppo forte tanto da lasciare posti sicuri e ben pagati per andare in un garage a fondare una startup, guadagnare molto meno, nella convinzione di fare qualcosa che abbia un impatto sul mondo.

La seconda parola più ricorrente è, forse, velocità. Sulle pareti del quartier generale di Facebook è scritto a grandi lettere: “Done is better than perfect”. E lo stesso Zuckerberg sostiene che Facebook sia in perenne versione beta. È davvero un vantaggio così competitivo essere veloci e fare, a scapito della perfezione?

È vero, perché la tecnologia corre a una velocità pazzesca. E questo è un concetto intrinsecamente legato all’essenza stessa di fare una startup. Il ciclo di realizzazione e di successo (quando arriva) di una startup è molto più breve rispetto a un’impresa tradizionale. Tutti vanno sul mercato con un prodotto beta per chiedere feedback. Perché il prodotto stesso è frutto di un miglioramento continuo proprio grazie ai feedback ricevuti. Tante, tantissime aziende della Silicon Valley sono perennemente in versione beta.

Nel libro raccontate di tanti giovani italiani che sono andati in Silicon Valley e hanno fatto fortuna là. Ma ne conoscete qualcuno che contaminandosi è tornato in Italia e ha fatto fortuna qui? Insomma, può funzionare davvero un tour andata e ritorno?

Ce ne sono moltissime. E nel libro ne descriviamo alcune. Tra le tante, ci piace ricordare un caso proprio comasco: quello di Luca Rossettini, fondatore di D-Orbit, start up con sede a COMONExT nata con l’idea del recupero di rifiuti aerospaziali e oggi costruisce e trasporta in orbita piccoli satelliti. Rossettini ha usufruito del Fulbright BEST (Business Exchange and Student Training), la borsa di studio per under 35 offerta da Italian Business Investment & Initiative con sede a New York. Un programma bilaterale Italia – Usa che prevede ogni anno l’assegnazione di 6 borse di studio per frequentare un corso intensivo di 6 mesi in Entrepreneurship e Management presso la Startup School di Mind The Bridge a San Francisco. Lo studio è alternato a periodi di internship presso un’azienda della Silicon Valley che abbia un business attinente a quello che il candidato presenta. Un percorso unico al mondo che – come afferma il direttore della società, Fernando Napolitano – costringe i ragazzi a tornare in Italia per applicare le loro conoscenze. Grazie a questo programma Rossettini, dopo aver fatto esperienza sia in una società di venture capital sia alla NASA, ha scoperto cos’è il venture capital e così quando è tornato in Italia ha fondato la sua azienda che oggi dà lavoro a 50 persone.

Negli USA, afferma Scott Galloway, uno dei migliori 50 docenti di business school, i ragazzi crescono sognando di diventare il prossimo Bezos o Musk, gli imprenditori sono idolatrati, mentre in Italia spesso il modello è ancora Ronaldo. Come si può invertire questa tendenza?

Bisogna partire dai fondamentali. Educazione, scuola università. Bisogna tornare a far nascere il desiderio di fare impresa. Se vogliamo trovare un aspetto positivo della crisi del 2009 è che in Italia è servita a far perdere il sogno del posto fisso e a far nascere la voglia di fondare startup. Poi va rafforzata l’alternanza scuola – lavoro. Rappresenta il metodo migliore per contaminare reciprocamente i due mondi. Infine, una parola sull’università. Pensiamo a Stanford: sono 39 mila le aziende che hanno radici in questa università e il 39% degli studenti che l’ha frequentata fonda un’impresa nel raggio di 100 km. Perché Stanford spinge i suoi studenti a sviluppare nuove idee e a testarle. Da sempre offre un’educazione che sprona a diventare imprenditori. La forza genera forza.

Leggendo il libro si scopre anche un dark side della Silicon Valley. Non parliamo dei recenti scandali sull’uso dei dati e la manipolazione del voto – ci sarebbe da scrivere un libro intero su questo – ma del maschilismo che impera. Siete due giornaliste donne e avete dovuto raccogliere anche testimonianze di gender divide e addirittura di vere e proprie molestie sessuali. Cosa deve accadere anche in California affinché si facciano passi avanti?

Gran parte del problema è dovuto al fatto che le posizioni sono tecniche e ci sono quindi molti uomini nelle aziende e startup tecnologiche. C’è un dark side che esiste e va abbattuto. Bisogna spingere le ragazze ad iscriversi alle facoltà STEM (science, technology, engineering and mathematics). E per raggiungere questo obiettivo è necessario trovare delle role model efficaci. Esempi positivi di donne che ce l’hanno fatta possono spingere a fare altrettanto.

Un’ultima domanda, per i giovani, magari per chi è in procinto di scegliere il proprio percorso universitario. Qual è il vostro suggerimento?

Le materie STEM saranno sempre più importanti. Suggeriamo di fare esperienza all’estero. Imparare le lingue, imparare a programmare. Specializzarsi. Frequentare un master o un corso di specializzazione. Diventare bravissimi nel proprio settore. Ci sarebbero ancora tante domande da fare a queste due giornaliste entusiaste e appassionate, ma il tempo, nella redazione milanese di Millionaire, è volato. Eleonora e Tiziana, nascoste tra pile di libri che raccontano il futuro e copertine del mensile che da 30 anni – li compie proprio nel 2020 – ispira generazioni di imprenditori, startupper e professionisti a pensare fuori dagli schemi e a tentare la propria impresa, devono tornare su Skype ad intervistare personaggi che leggeremo sui prossimi loro libri. E nell’attesa, godiamoci e troviamo le risposte alle nostre domande sul bellissimo libro Silicon Valley, Sogna, Credici, Realizza.

A cura di Stefano Rudilosso