BRAND REPUTATION

Negli ultimi anni si sono verificati vari episodi di crisi online in cui diversi brand sono stati oggetto di un’onda di commenti negativi sui social a causa di una campagna pubblicitaria sbagliata o un di nuovo prodotto lanciato sul mercato non apprezzato dai consumatori o, ancora, di post o commenti dei loro vertici ritenuti offensivi.

Da questi episodi quello che possiamo subito notare è che non solo la sensibilità delle persone sta cambiando, ma anche che sempre più i consumatori si sentono in dovere di esprimere pubblicamente le proprie opinioni e, grazie a internet ed ai social network, questo è sempre più facile. Chi non conosce il caso “American Airlines” dell’aprile 2017, che è spesso citato come esempio di una gestione sbagliata nel caso in cui si subisca una lesione alla reputazione? Avendo fatto overbooking, la compagnia aerea American Airlines aveva chiesto ad alcuni passeggeri, sebbene fossero già stati fatti accomodare al loro posto, di scendere dall’aereomobile per far spazio ad altri clienti. Alcune persone si rifiutarono, tra cui un medico cinese il quale fu prelevato con la forza e trascinato per il corridoio dell’aereo da alcuni addetti della compagnia. Molti degli altri passeggeri inorriditi dalla scena, la ripresero con il loro smartphone e, avendo ancora una connessione alla rete mobile, la postarono su vari social network ed in particolare su Youtube. In pochi secondi la notizia fece il giro del globo e i titoli in borsa dell’American Airlines crollarono. Il CEO Oscar Munoz fece un comunicato stampa assumendosi la responsabilità della cattiva gestione e chiedendo pubblicamente scusa, ma non fu facile per la compagnia aerea rimediare al danno reputazionale che ormai si era verificato. Per citare alcuni casi più recenti, si può menzionare il caso Dolce e Gabbana. La casa di moda italiana è stata accusata di razzismo nei confronti dei cinesi in seguito ad una pubblicità lanciata per promuovere una nuova collezione in uscita a Shanghai in cui si faceva riferimento a una serie di stereotipi del popolo cinese. Il video ha generato un’indignazione generale, una reazione degli utenti cinesi sul social iperbolica e la cancellazione dello show a Shanghai. Anche Gucci la scorsa estate è stato oggetto di forti critiche sui social dopo aver presentato nella nuova collezione primavera-estate 2019 un maglione che richiamava la cosiddetta black face, che in America è stata utilizzata per molti anni come immagine per identificare in maniera discriminatoria le persone di colore. Si trattava di un modello nero e aderente caratterizzato da un collo alto fino sotto il naso e mostrava un taglio sulla bocca contornato di rosso. La maison ha subito ritirato il prodotto dal mercato pubblicando immediatamente un messaggio di scuse sui propri canali social. Si tratta di veri e propri shaming mediatici che causano danni di non poco conto, a livello mondiale, alla brand reputation delle imprese coinvolte.

Con brand reputation si intendono le aspettative, le percezioni, le opinioni sviluppate nel tempo dai clienti, dagli impiegati, dai fornitori, dagli investitori ed in generale dal pubblico in relazione alle qualità, alle caratteristiche e ai comportamenti di un’impresa che derivano dalla personale esperienza, dal sentito dire o dalle passate azioni dell’organizzazione. In altre parole la brand reputation è la considerazione che i consumatori ed il pubblico hanno di un’impresa. Per l’impresa non solo è importante impegnarsi a costruire una reputazione e un’immagine che generino valore, ma anche proteggerle da tutti gli attacchi che possano mettere in pericolo questi elementi vitali per il successo. Per far ciò è importante dotarsi di strategie da adottare internamente all’azienda per sapere come reagire nel caso in cui si subisca una lesione alla reputazione della società. Questo problema non è una novità per il mondo imprenditoriale, ma di certo negli ultimi anni, con l’avvento di internet, prima, e con i social network, poi, richiede ancora maggiore attenzione.

Infatti, da alcune ricerche si evince che la maggior parte dei consumatori prima di procedere con un acquisto legge le opinioni e le recensioni online di altri utenti, inoltre è più propensa a comperare un prodotto in seguito a raccomandazioni ottenute tramite i social network e si fida di più dei contenuti generati dagli utenti su internet (pensiamo al fenomeno degli influencer ed alle recensioni dei prodotti fatte su YouTube o nei blog), rispetto alla pubblicità tradizionale, in quanto ritiene i primi più genuini ed onesti. Sicuramente lo sviluppo di internet come mezzo di comunicazione e di marketing rappresenta per le aziende un vantaggio, infatti a costi più contenuti possono farsi conoscere a livello mondiale. Una pubblicità divulgata attraverso i social network può essere visibile da ogni parte del mondo, mentre quelle a mezzo stampa o anche televisivo hanno pur sempre una circolazione locale.

Come si è visto, questo vale, però, anche in senso opposto. Quando, infatti, posto in essere un comportamento che urta la sensibilità dei consumatori, si sbaglia una pubblicità od un prodotto, la reazione negativa del pubblico attraverso l’uso di internet ha un impatto molto più lesivo sulla reputazione e l’immagine di un’impresa, rispetto a una notizia veicolata tramite i mezzi di comunicazione tradizionali.

È quindi evidente, come si è detto, che è di fondamentale importanza per un’azienda avere una strategia per far fronte immediatamente a un evento che può danneggiarne la reputazione, in modo da limitarne i danni. Ovviamente, sarà opportuno fare una valutazione caso per caso, essendo in alcuni casi importante rispondere tempestivamente a un post critico sull’impresa, mentre altre volte sarà invece meglio non prendere posizione, in modo da far passare in secondo piano la notizia, non accendendo il dibattito. In certi casi, però, i commenti e le critiche sul web possono essere tali da richiedere un’azione legale affinché venga accertata la lesione del proprio onore e reputazione ed ottenuto un ordine di rimozione del contenuto lesivo.

Mentre in passato si riteneva che i c.d. diritti della personalità, tra cui rientrano il diritto al nome, all’immagine, all’onore e alla reputazione, fossero diritti propri solamente delle persone fisiche, nel 2006 la Corte di Cassazione (Cass. 4 giugno 2006, n. 12929) ha per la prima volta affermato che anche le persone giuridiche (quindi società ed enti) godono di tali diritti. Tale principio è stato, successivamente, ribadito più volte dai tribunali ed oggi lo si ritiene un principio consolidato. Pertanto, nel caso in cui una società o un suo rappresentante sia il bersaglio di espressioni diffamatorie o denigratorie del suo onore e reputazione, che possono determinare danni patrimoniali, ma anche morali, potrà valutarsi se sussistono i presupposti per agire in giudizio. Infatti, se da un lato il legislatore e l’ordinamento tutelano i diritti della personalità, dall’altro anche il diritto della libertà di espressione è costituzionalmente tutelato (art 21 della Costituzione). Dovrà, quindi, valutarsi caso per caso se i fatti e le espressioni esposti che si assurgono lesivi della reputazione aziendale siano scriminati, e dunque ammessi, in quanto rientrano nel diritto di cronaca, o di critica, o consistono in una parodia ritenuta lecita.

Come si è visto, oggi le critiche vengono sempre più mosse online, su siti che raccolgono le recensioni dei consumatori o sui social network ed a volte possono verificarsi anche casi di fake news o bad endorsement che vanno a ripercuotersi negativamente sull’immagine di un’impresa. Verificandosi su internet, non sempre è facile conoscere chi effettivamente ha posto in essere tali comportamenti, poiché in questi casi chi usa espressioni denigratorie e diffamatorie si nasconde dietro un profilo molte volte falso. Per questo spesso le azioni legali sono rivolte direttamente ai social network o in generali nei confronti dei c.d. Internet hosting provider, cioè dei fornitori del servizio consistente nella memorizzazione durevole di informazioni fornite da un destinatario del servizio.

Gli internet hosting provider, e più in generale gli internet service provider, non sono ritenuti dal legislatore responsabili di per sé per gli atti lesivi posti dagli utenti sugli spazi da loro messi a disposizione (ossia su profili Facebook, Instagram, Twitter e in generale su pagine internet e blog), ma devono agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena siano informati o si rendano conto delle attività illecite. Così, infatti si evince dal D. Lgs. n. 70/2003, che ha implementato la c.d. Direttiva E-commerce 2000/31/CE, ed in particolare dall’art. 16.

Proprio all’inizio di quest’anno il Tribunale di Roma (Trib. Roma 15 febbraio 2019, n. 3512) ha pronunciato una sentenza con cui ha dichiarato che alcune espressioni postate da utenti su un gruppo Facebook fossero lesive della reputazione e dell’onore di Reti Televisive Italiane, pesantemente criticata per aver messo in onda un cartone animato giudicato alcuni utenti di Facebook non adatto ai ragazzi in quanto non sufficientemente culturale. Il Tribunale, in questo caso, ha proprio riconosciuto responsabile per le espressioni diffamatorie e denigratorie il social network, intimandogli di rimuovere immediatamente tali frasi e condannandolo a un risarcimento del danno.

Interessante è anche la recentissima decisione della Corte di Giustizia Europea del 3 ottobre 2019 (causa C-18/18) che, in un caso di diffamazione tramite internet nei confronti di una persona fisica, ha riconosciuto che l’ordine dell’autorità giudiziaria, a un prestatore di servizi di hosting (nel caso di specie Facebook), di rimuovere le informazioni e le espressioni lesive della reputazione, possa comprendere anche informazioni diverse da quelle effettivamente contestate ed indipendentemente da chi ne sia l’autore, il cui significato o sia identico a quelle dichiarate illecite. Nonché i messaggi il cui contenuto rimane sostanzialmente invariato rispetto a quello che ha dato luogo all’accertamento d’illecità. Tale sentenza è particolarmente degna di nota poiché ha dichiarato che il provvedimento di un giudice nazionale possa ordinare la rimozione delle espressioni oggetto dell’ingiunzione a livello mondiale. Questa decisione, che chiaramente fissa principi applicabili anche nei casi in cui il soggetto leso non sia una persona fisica, ma una società, permetterà alle imprese di agire davanti ad un’autorità nazionale ottenendo provvedimenti con effetti a livello mondiale e non strettamente limitati ai contenuti e ai post di cui erano a conoscenza al momento dell’instaurazione del giudizio. In questo modo, la tutela della reputazione, dell’immagine e dell’onore del brand potrà essere più efficacemente garantita.

Lo Studio Legale Sena e Tarchini opera nel campo della Proprietà Intellettuale e Industriale e, più in particolare, nel settore dei segni distintivi (marchi, nomi a dominio, ditte ecc.), brevetti, disegni e modelli, diritto d’autore, pubblicità, concorrenza e diritto antitrust. Lo Studio svolge, oltre all’attività di consulenza stragiudiziale e di valorizzazione dei titoli di proprietà intellettuale, una specifica attività di assistenza giudiziale avanti le diverse giurisdizioni italiane ed anche avanti l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, la Commissione dei Ricorsi, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – AGCOM, e per quanto riguarda la pubblicità avanti il Giurì dell’Autodisciplina. Poiché nello specifico settore della Proprietà Intellettuale e Industriale le questioni sono prevalentemente di carattere internazionale lo studio offre assistenza davanti agli organi europei quali l’Ufficio Europeo dei Brevetti – EPO, l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Industriale – EUIPO, il Tribunale di Prima Istanza e la Corte di Giustizia, oltre che in arbitrati nazionali ed internazionali. Lo Studio ha un ufficio anche a Parigi e collabora con i più importanti studi internazionali.

 

A cura di Avv. Francesca La Rocca – Studio Legale Sena e Tarchini