LA VISIONE DI MARIELLA ENOC, PROCURATRICE SPECIALE DELL’OSPEDALE VALDUCE

Enoc e Papa Francesco
Mariella Enoc con Papa Francesco all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù

Vocazione e missione. Sono le due parole che, forse meglio di tante altre, pur adeguate alla persona, descrivono Mariella Enoc. Rappresentano, infatti, l’essenza più profonda di una manager innovativa e public servant, come la definì il giornalista de Il Sole 24 Ore, Paolo Bricco, che le dedicò un ritratto a tutta pagina sul quotidiano economico più importante d’Italia. Perché Mariella Enoc è, fin dall’inizio del suo percorso lavorativo, una manager della sanità. Ma, ancor prima, è una personalità che da sempre si mette a disposizione della comunità e del territorio nei quali viene chiamata a operare. Vocazione, dicevamo, perché fin da quando si iscrisse alla facoltà di Medicina comprese che, pur non essendoci all’epoca un’università che lo insegnasse, la sua vita sarebbe stata dedicata a quello che oggi chiamiamo management sanitario. A cui, però, come affermò un altro prestigioso giornalista, già direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, Mariella Enoc affiancò da sempre la missione. L’incontro con i poveri, con i bambini più sfortunati, una propensione innata verso la fragilità. Le esperienze di procuratrice al Cottolengo di Torino, all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma dove fu incaricata alla presidenza direttamente da Papa Bergoglio per risanarlo, i viaggi in Africa: in lei la dimensione professionale, la fede e l’amore per l’umanità si fondono e si alimentano, da sempre. A tutto questo, senza risparmiarsi mai, sempre con l’ambizione di servire, ha saputo unire l’impegno associativo come presidente di Confindustria Novara prima e Piemonte poi, come vicepresidente della Fondazione Cariplo per quindici anni e per dodici come vicepresidente della Fondazione Cini. In tutti i casi fu sempre la prima donna a ricoprire il ruolo, animata anche in quello dalla sua missione: il bene comune come servizio pubblico. Uno strenuo bisogno di restituzione continua verso l’altro, più che in beni materiali, in termini di opportunità. Come, in ambito culturale, quando fu presidente di Fondazione Filarete, realtà d’avanguardia, in particolare nella promozione dello sviluppo tecnologico, scientifico e imprenditoriale delle bio-scienze. Una vita straordinaria, in cui Enoc ha saputo trasformare il potere, sempre gestito con discrezione ma fermezza, in servizio. Molti le hanno chiesto di raccontarsi, di lasciar traccia della sua esperienza in un libro. Dopo anni di dinieghi per la sua proverbiale ritrosia, ha ceduto alle richieste solo dopo essersi assicurata che il libro, dal bellissimo titolo “Il dono e il discernimento, dialogo tra un gesuita e una manager”, sarebbe stato, appunto, un dialogo. Dal 2012 è procuratrice speciale dell’Ospedale Valduce ed è in questo ruolo che la incontriamo per parlare di sanità, della sua visione, di territorio, a margine della tre giorni Motore Sanità celebrata a Villa Erba lo scorso febbraio.

Si è da poco conclusa la seconda edizione di Motore Sanità a Cernobbio. Lei è molto legata a questo evento. Ci racconta i motivi?

Credo molto nel valore degli incontri promossi da Motore Sanità perché sono posti su un livello culturale importante e oggi più che mai noi abbiamo bisogno di una nuova cultura per approcciare la sanità in termini diversi. Si sta consolidando come un appuntamento annuale in cui tutta la sanità comasca, e non solo, si ritrova per confrontarsi.

Qual è il messaggio principale che è uscito da questa edizione?

Il messaggio che è uscito è certamente variegato perché il titolo: “Una comunità che cura, dall’idea all’azione”, a cui ho partecipato per la sua individuazione, è molto significativo. A Cernobbio ci sono state diverse visioni, diverse aperture, ma la finalità è stata quella di fare sintesi. è emerso così il senso di una cura che non può essere solo quella dei tecnici della parte sanitaria ma dovrebbe essere dell’intera comunità, perché tutti ci facciamo carico in qualche misura dell’altro. O almeno dovremmo. E questo è anche il fine del servizio sanitario nazionale.

Un servizio nazionale che sembra un po’ in difficoltà.

Vede, io ho un’idea: in questo momento, mi piacerebbe rivedere i principi fondamentali del nostro servizio sanitario nazionale, come i valori che determinano la possibilità della nostra cura, e nello stesso tempo scrivere una sorta di decalogo dei doveri di noi cittadini verso questo bene comune. Viviamo nel mondo dei diritti, ma ognuno di noi, per poterne godere, deve esercitare anche dei doveri. Dobbiamo tenere presente che il sistema sanitario nazionale nasce da una visione di solidarietà. Una visione che abbiamo dimenticato a causa del principio secondo il quale io pago e per questo devo avere. Se noi fossimo capaci di usarlo con sobrietà, considerando anche il bisogno dell’altro, con uno sguardo di attenzione, probabilmente non faremmo i furbi che prenotano più visite mediche in posti diversi per lo stesso motivo e poi non si presentano a scapito di altre persone che avrebbero potuto prendere appuntamento ma non hanno trovato posto. è vero: la sanità è per tutti. Ma se io ho alcune possibilità non è detto che debba approfittarne in maniera sconsiderata. Vorrei che anche da Cernobbio uscisse un tema.

Quale?

I valori del nostro servizio sanitario nazionale e la nostra responsabilità, non voglio chiamarlo dovere, verso il buon uso. Se vogliamo davvero che questa grande conquista del nostro Paese non muoia ne dobbiamo avere la responsabilità. Bisogna averne cura e usarlo in maniera corretta. Come quando ci prendiamo cura dell’ambiente e cerchiamo di non inquinare. Dobbiamo saperlo valorizzare. Questi valori possono essere di stimolo anche per altri modelli di sanità, per esempio quelli dei Paesi più poveri. Parliamo tanto di prevenzione: è nota la mia battaglia fatta sulla prevenzione dei tumori femminili affinché ci fossero apparecchiature validate e un controllo di come vengono eseguiti gli screening in modo che non escano falsi negativi. La prevenzione diventa utile, un bene. Ma se sulla prevenzione si gioca, facendola in modo approssimativo o affrettato rischiamo di dover triplicare i costi, perché quando un paziente non è soddisfatto rifà tutti gli esami. Quindi, credo che in questo momento non sia solo un problema di norme ma debba diventare una questione culturale.

Quindi non è solo un problema di scarsità dei fondi erogati al servizio pubblico?

Motore Sanità 2025
L’intervento all’edizione 2025 della Cernobbio School di Motore Sanità

Ci vuole sicuramente qualche risorsa in più, perché molte sono state tagliate negli anni scorsi. Ma torniamo al tema di prima: la cura e la responsabilità di coloro che lo vivono e ne usufruiscono. In queste difficoltà va ritrovata anche la capacità organizzativa. Chi fa l’imprenditore lo sa benissimo: si possono avere tutte le risorse possibili, ma se un’azienda non è organizzata non si fa nulla. Il sistema sanitario va un po’ smontato e rimontato in modo che sia adeguato a un nuovo modello organizzativo. In questo senso una grande parte la devono fare i politici e gli amministratori, ma anche i professionisti della sanità uscendo dalla logica lobbistica e di difesa della categoria. Bisogna trovare la mediazione. Io dico sempre che si deve parlare bene del servizio sanitario nazionale. È vero, ci lamentiamo delle tempistiche delle visite specialistiche ma, guardando alle prestazioni più importanti, se dovessi fare un trapianto dubito che avrei soldi a sufficienza per farlo in privato. Dobbiamo considerare quanto di veramente importante ci offre che non potremmo avere in altro modo e dall’altra parte prendere in ipotesi il pagamento delle prestazioni minori. Anche il proliferare sul territorio di tante piccole strutture crea domanda. La mia generazione ha abusato della gratuità. Oggi c’è una popolazione più anziana che necessita di maggiori cure, di più farmaci e più diagnostica ma, contestualmente, sono diminuite le risorse. Per cui ribadisco che dobbiamo imparare a gestire meglio le risorse.

Uno dei temi all’ordine del giorno per la sanità è quello delle risorse umane: c’è un problema di attrattività sia della professione in generale che di territorio.

Il problema delle risorse umane non esiste solo nella sanità ma si sta diffondendo in molti settori del nostro Paese. Una delle cause è certamente la denatalità, ma anche la scarsa valorizzazione delle persone. Per un certo periodo le abbiamo usate come avremmo usato macchine o computer e questo le ha fatte disamorare del loro lavoro. Ripeto, non è un problema che riguarda solo medici e infermieri, ma si estende a tutte le figure lavorative. Una strategia, a mio avviso, è quella di valorizzare ed elevare il livello di preparazione dei professionisti sanitari. In particolare, in ambito sanitario credo molto in queste forme di academy, dove c’è una rivisitazione della preparazione iniziale, del proprio diploma, della propria laurea. Non si tratta di mettere in piedi un nuovo master, ma di ripensare la professione alla luce delle esigenze di oggi. Che, ripeto, è molto diverso dal fare un master o un dottorato che resta comunque un cursus scolastico. Significa ripensare il valore della mia professione. Per quanto riguarda le professioni sanitarie, ad esempio, bisogna inserire tutto l’importante ambito della relazione con le persone, che rientrano nel grande tema della cura, la questione del rapporto con le famiglie, con i caregiver, che risolve moltissimi problemi, perché significa diventare alleati in un percorso di cura. Ecco: dobbiamo creare alleanze e insegnare a creare alleanze.

Durante il convegno organizzato dal Tavolo Sanità di Confindustria Como nella giornata conclusiva di Motore Sanità lei ha lanciato una proposta importante per valorizzare le professioni sanitarie. Ce la descrive?

Ho proposto, da un lato, che gli infermieri professionali, che già hanno conseguito una laurea triennale, siano maggiormente valorizzati e possano acquisire maggiori competenze attraverso una formazione permanente, centrata su quanto oggi è più necessario per la cura e l’assistenza dei pazienti, ma anche che si possa almeno ipotizzare la creazione di una nuova figura (diversa dagli attuali OSS) che possa svolgere alcuni dei compiti che oggi gravano sugli infermieri. Inoltre ritengo che l’infermiere professionale debba a pieno titolo poter essere inserito nei percorsi e nei progetti della ricerca scientifica, dai quali spesso è escluso, soprattutto per quel che riguarda la ricerca traslazionale.

Ci perdoni, cosa significa ricerca traslazionale?

Vede, dobbiamo andare oltre il concetto di medicina che conosciamo e pensare alla medicina del futuro che deve essere capace di creare un solido ponte, appunto, traslazionale per combinare la ricerca clinica di eccellenza con la ricerca di base di eccellenza, in modo da trasferire nel minor tempo possibile le conoscenze acquisite al letto del paziente. Lei ha molto a cuore il tema del prendersi cura sostenendo che significa qualcosa in più del curare.

Qual è la differenza?

Curare è un’azione passiva: tu sei malato, io ti visito e ti do la medicina. Prendersi cura è molto di più: io prendo te, la tua personalità completa, i tuoi problemi in modo olistico, prendo la tua famiglia e tutti coloro che sono parte di questo processo e faccio un atto attivo, perché stimolo le persone che curo e chi è vicino a loro a compiere un cammino con me.

È quello che state facendo come Ospedale Valduce con il progetto “Nascere in centro”?

Esattamente quello e anche in altri progetti, creando una vera e propria rete a supporto delle persone che nel caso di “Nascere in centro” sono la mamma, quando è ancora in attesa, e poi la mamma e il nascituro fino a 3 anni.

Il Valduce dal 1974 è “Ospedale Classificato”, dizione che indica gli ospedali religiosi che, all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, vengono equiparati a quelli pubblici. Qual è la differenza rispetto a un ospedale privato?

Come Ospedale Classificato non abbiamo, allo stato attuale, alcun vantaggio pratico, semmai dei doveri in più. Perché se è vero che non devo remunerare il capitale, è altrettanto vero che devo dare sostenibilità. Le faccio un esempio molto attuale: stamattina per assumere un chirurgo abbiamo dovuto bandire un concorso come avrebbe fatto un ospedale pubblico. Il privato non deve farlo. Però mi fa piacere ricordare che la Congregazione delle Suore che possiede questo ospedale è molto attenta. Non chiede nulla, ma dà il suo contributo lasciando tutte le risorse per consentire al Valduce di innovare e svilupparsi. Anche la presenza delle suore all’interno è significativa e ci aiuta molto in questo percorso.

Tra le sue tante esperienze ci sono anche quelle di Presidente di Confindustria Novara e poi Piemonte. Che ruolo possono giocare le associazioni confindustriali in tema di sanità?

Credo molto in quello che Confindustria può fare come interlocutore ai tavoli della sanità. Ma non deve essere solo un portatore di esigenze di carattere sindacale, deve avere un atteggiamento propositivo e di contenuto. Confindustria di fronte alla sanità deve avere un ruolo di collaborazione e di proposizione: non è l’altro sindacato degli erogatori di servizio.

A Como, in Confindustria, da qualche anno è nato il Tavolo della Sanità. Può essere un luogo di confronto importante?

È nota la stima che ho per la Confindustria di Como perché ha grande capacità di visione, di andare oltre a quello che molte territoriali fanno. La sanità è uno dei datori di lavoro più importanti e deve interloquire con tutti. Ricordo quando ho fatto il presidente di Confindustria Piemonte che ho lavorato molto per ricucire i rapporti con le banche con l’obiettivo di far comprendere agli imprenditori l’importanza di un’alleanza rispetto all’inutilità delle barricate. Io cerco sempre alleanze, perché picchiare i pugni sul tavolo non serve a nulla.

L’Africa ha un posto speciale nel suo cuore, vero?

Oh sì! (lo dice con gli occhi che brillano, ndr) Sono in collegamento con l’associazione Medici con l’Africa Cuamm che adesso sta costruendo una maternità e una scuola per ostetriche nel nord della Repubblica Centrafricana, il mio Paese del cuore. Per me è molto importante che l’Ospedale Valduce possa collaborare con questa iniziativa sia andando direttamente sul posto a formare il personale sia ospitandolo a Como per consentire di fare esperienza per poi tornare in Africa. Copertina libro Il dono e il discernimento

Abbiamo un’ultima domanda. Ce la conceda.

Il mio rapporto con il Papa, vero?

Esattamente.

Ho incontrato l’ultima volta il Papa il 3 febbraio scorso al Summit mondiale sui diritti dei bambini. è stato un incontro come sempre molto bello connotato dalla sua solita ironia nei miei confronti, una bella presa in giro alla quale io partecipo molto volentieri.

Ci fa un esempio di questa ironia?

Beh, per esempio mi ha detto: “Mariella chiude una porta e ne apre un’altra”. Oppure: “Mariella quando c’è si sente, ma si sente anche quando non c’è” (e ride, ndr). Devo dire che quando mi vede è contento. Abbiamo un rapporto molto bello. L’ultimo incontro è avvenuto prima che fosse ricoverato.

Come lo aveva trovato?

In quell’occasione l’ho visto molto bene. Pensi che si è fermato tutta la giornata ai lavori del Summit. Ha sempre usato tutte le sue forze. Purtroppo, pochi giorni dopo, la malattia ha messo il suo fisico a dura prova. Io mi auguro che non soffra troppo. Voglio molto bene al Papa e in questo momento il mio atteggiamento nei suoi confronti è come quando si ha un fratello che sta male e si vorrebbe fare qualcosa. Prego per lui.

Alla fine, è un essere umano anche lui…

Vede io sono una delle persone più consapevoli che la vita ha una fine: bisogna imparare a parlare della malattia e della morte. Anche nei nostri ospedali è indispensabile cercare di introdurre questo concetto evitando di dire che non bisogna più morire. Sa, l’atteggiamento che molti parenti, più che i pazienti, hanno è quello per cui ci si oppone all’idea della morte. Il Papa ci sta educando a questo passaggio inevitabile per tutti noi. Bisogna imparare a lasciare andare. Anche la medicina non deve arrivare all’accanimento terapeutico. In Valduce abbiamo creato un comitato bioetico per ragionare su questi temi. E sono molto contenta di questo progetto. Perché, vede, molte volte il medico sospenderebbe certi interventi, certe cure, ma il parente è così insistente che lo induce a doversi accanire in senso sanitario. E questo non va bene.

A cura di Stefano Rudilosso

Leave a comment