“Abbiamo redatto un piano industriale prudenziale che prevede un aumento di fatturato, ma molto contenuto. Il mercato se risalirà, risalirà un pochino, ma non ci sarà un grande recupero”.
Ma, allora, tutto sommato, lei è ottimista?
Certamente, altrimenti non saremmo qui. E sono ottimista soprattutto per la Clerici Tessuto, perché è un’azienda che ha le dimensioni giuste per affrontare il mercato del futuro che non sarà dominato da player molto più grandi di noi, ma nemmeno da quelli da poche decine di unità perché non hanno la capacità di sostenere gli impegni che chiedono i clienti, soprattutto in tema di sostenibilità. Quindi, la Clerici Tessuto, con duecento collaboratori a tendere e con un team altamente qualificato, con know – how storico, un immenso archivio, è l’azienda con il taglio giusto. Sono convinto che se domani mattina uno dovesse creare dal nulla l’azienda ideale per questo tipo di mercato, la farebbe di duecento persone, con la tessitura interna.

È ottimista sul futuro Matteo Rossini, l’Amministratore Delegato che da febbraio è alla guida della Clerici Tessuto, storica azienda tessile comasca, in completo accordo con la proprietà rappresentata da Alessandro Tessuto e sua figlia Sara. Rossini si approccia con grande rispetto verso questa azienda che tre anni fa ha compiuto un secolo ma, proprio in ossequio a quel rispetto, ha anche le idee e una strategia molto chiare. Oltre a un pragmatico ottimismo. Brianzolo, laureato in Scienze Politiche con specializzazione in programmazione socio-economica presso l’Università degli Studi di Milano, Rossini ha maturato la propria esperienza in settori diversi dal tessile, come automotive, imballaggio, stampa e retail, dove ha guidato processi di trasformazione aziendale.
Lei proviene da esperienze aziendali molto diverse fra loro e ci potrà confermare che non esiste una medesima ricetta valida per ogni azienda. Ma secondo lei esiste un approccio trasversale a tutte, potremmo dire una costante, che permetta di risolvere anche le situazioni più complesse?
Mi piace la domanda – sorride il Ceo di Clerici Tessuto – su questa sono preparato. La mia provenienza al di fuori del settore tessile non è un caso isolato. Proprio nei giorni scorsi il Gruppo Kering ha ufficializzato la nomina ad amministratore delegato di un manager – Luca de Meo, ndr – che proviene dai massimi livelli del mondo dell’automotive, con l’obiettivo di infondere una nuova visione e risolvere qualche questione particolarmente delicata. Vede, ci sono alcuni settori, in particolare proprio quello dell’automotive, nel quale ho operato anche io, dove si è abituati a livelli di efficienza molto elevati, a differenza di altri, come quello del lusso che, proprio a causa della loro capacità di generare grandi profitti, non hanno avuto la medesima attitudine. Qualcosa di analogo accade anche nell’arredamento, dove ho parecchi amici, in cui noto un focus molto forte sul lato dei ricavi ma non su quello dei costi. Il problema è che a un certo punto, ed è stato così per tutti i settori nei quali ho operato, il mondo cambia e bisogna mettere in discussione le logiche sulle quali si operava. Chi, due anni fa, avrebbe mai potuto prevedere una crisi nell’ambito del lusso? Questo cambia tutti gli equilibri e di conseguenza le dinamiche che ci sono in gioco e le situazioni di crisi modificano le modalità con cui gestire l’azienda. Se restiamo nell’ambito del distretto tessile, la crisi ha investito tutti e inevitabilmente anche la Clerici Tessuto che, pur essendo un’azienda solida e particolarmente patrimonializzata, con un livello di debito compatibile con la sua situazione patrimoniale, allo stesso tempo non era preparata a scendere da un fatturato che nel 2023 era superiore ai 60 milioni a quello del 2024, che è stato di 42 milioni. Situazioni come questa sono abbastanza sorprendenti per chi opera in questo ambito, ma lo sono meno per coloro che, come me, gestiscono le ristrutturazioni aziendali. Quindi, per rispondere alla sua domanda, gli strumenti, le azioni tipiche in questi particolari contesti sono un po’ diverse da quelle che gli imprenditori sono abituati a utilizzare. Per esempio, la gestione delle risorse in esubero: in Clerici Tessuto, come in tante realtà imprenditoriali simili, ridurre il personale è un vero e proprio tabù. Ma ad un certo punto diventa una necessità per consentire all’azienda di sopravvivere. E, mi permetto di aggiungere, la mia utilità per l’azienda in un contesto storico come questo è proprio quella di mettere in campo strumenti che l’imprenditore è meno avvezzo a utilizzare.
Ecco, venendo nel concreto dell’azienda, quali sono le principali misure che intende mettere in atto in Clerici Tessuto per trasformare l’azienda e renderla in grado di affrontare i cambiamenti epocali che stanno interessando tutto il mondo economico?

Il piano triennale che abbiamo presentato ha come driver principale i tre pillar. Il primo consiste in un processo strutturato di internalizzazione di attività precedentemente esternalizzate, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il controllo diretto sulla filiera anche in prospettiva delle più stringenti normative ambientali. D’altronde quando si realizza un fatturato di 60 milioni si può avere la necessità di appoggiarsi su fornitori esterni perché magari la capacità produttiva dell’azienda è al massimo, invece, quando il fatturato si contrae così tanto, un vero saving si ottiene dall’utilizzare al massimo le risorse interne. Questa scelta strategica consente non solo una maggiore efficienza operativa, ma anche una garanzia di qualità, tracciabilità e coerenza etica. L’azienda si conferma così un produttore a tutti gli effetti e non un semplice converter. Assume, infatti, un posizionamento distintivo che valorizza la filiera interna, le competenze del team e la capacità di gestire ogni fase del processo, dalla creatività alla realizzazione del prodotto. Tutto questo è avvenuto cambiando la mentalità dell’azienda, abituata ai grandi volumi, trasformandola in una realtà molto più flessibile per essere in grado di rispondere alle nuove esigenze dei clienti che hanno ridotto i quantitativi e accorciato i tempi di consegna. Il secondo pillar è una forte focalizzazione nel rafforzamento del polo del lusso, oggi al centro delle priorità strategiche dell’azienda. Clerici Tessuto ha scelto di concentrare ancora più risorse e investimenti sui clienti di fascia alta, che da sempre ne costituiscono il principale target di riferimento, orientando la propria struttura verso un modello più flessibile, in grado di rispondere alle nuove esigenze della clientela, più legate al servizio che ai volumi. In questo contesto, il ruolo dell’ufficio stile diventa centrale: presidio creativo, ma anche leva relazionale e commerciale. Un approccio che valorizza il capitale umano e garantisce un dialogo costante con i clienti, supportandoli nella definizione del prodotto che, sempre più spesso è customizzato ed esclusivo. L’azienda svilupperà parallelamente questa strategia anche con clienti di gamma media e medio-alta, offrendo loro tempi di risposta e di consegna più brevi ma in un’ottica di differenziazione e di servizio personalizzato. Il terzo pillar, ne accennavo prima, è rappresentato da una necessaria riduzione del numero degli addetti al fine dell’ottimizzazione dei processi interni. A questo scopo, è stato definito un piano di esuberi che prevede un mix di prepensionamenti e uscite volontarie, finalizzato a ridurre l’organico dalle attuali 230 persone a un numero inferiore a 200. Questo percorso è stato concordato con le rappresentanze sindacali, garantendo un approccio responsabile e orientato alla tutela dei lavoratori.
In occasione del suo insediamento ha annunciato un piano industriale di rinnovamento.
E glielo confermo. Ho usato il termine “rinnovamento” perché il modello organizzativo cambia radicalmente. Per esempio, abbiamo deciso, in accordo con il presidente Tessuto, di privarci di alcune figure che nell’organizzazione moderna sono diventate anacronistiche: i clienti vogliono vedere persone molto più focalizzate sul prodotto, molto più competenti dal punto di vista tecnico. Quindi, inevitabilmente viene meno la necessità di figure che hanno un profilo puramente commerciale e talvolta poca sensibilità sui temi della sostenibilità. Più in generale, vogliamo creare un organigramma più piatto, meno stratificato, un sistema lean e con un controllo più accurato e tempestivo dei costi.
Clerici Tessuto ha da poco traguardato il secolo di vita. Come si coniuga un heritage così importante con la necessità di innovazione?
L’heritage, in questo caso specifico, è fondamentale. La Clerici Tessuto è la sua storia. Il nostro archivio è tra i più importanti e i nostri clienti ne hanno vitale bisogno per la loro creatività. Creatività che in questo settore corrisponde all’innovazione: la capacità di creare nuove idee. Abbiamo il dovere di offrire competenza superiore al cliente in un mondo in cui la professionalità si sta un po’ perdendo.
A fianco dell’innovazione c’è sempre il tema della sostenibilità. Qual è la sua visione rispetto ad essa?
Posso affermare con certezza che rispetto alla sostenibilità la Clerici Tessuto è allo stato dell’arte. Siamo al quarto bilancio di sostenibilità che, sottolineo, non è un obbligo di legge, perché riteniamo che un prodotto che sfila sulle passerelle più importanti al mondo debba essere perfettamente in linea con i parametri ESG. Quindi, non si tratta solo di una sostenibilità ambientale, ma anche etica. In questo senso siamo agevolati dal fatto che, avendo la tessitura interna, i nostri clienti possono verificare, anche con interviste dirette ai nostri collaboratori, il rispetto dei più alti standard etici.
Tiene in modo particolare all’aspetto etico.
Sì, se vuole il mio punto di vista, la ritengo una questione imprescindibile. La sostenibilità non può essere, come in taluni casi accade, il modo per coprire le cose che non vanno. Altrimenti diventa solo uno specchietto per le allodole. Quello che oggi si chiama greenwashing.
In numerose aziende si pone un problema di turnover generazionale: molti dipendenti senior giungono al momento del congedo e contemporaneamente c’è necessità di attrarre giovani appassionati. Aspetto, quest’ultimo, spesso non semplice…
Dobbiamo tenere ben presente che la mentalità è completamente diversa rispetto al passato. Per i giovani la qualità del luogo di lavoro è talvolta più importante dello stipendio. Non è solo questione di smart working: quello che attrae maggiormente i giovani è il lavoro per obiettivi, essere giudicati nel medio – lungo periodo, mentre la prospettiva di fare i burocrati li fa scappare. Quindi dobbiamo creare un ambiente di lavoro che sia più in linea con questa mentalità. Dobbiamo riuscire a fare quel salto culturale che consenta loro di avere spazio. Personalmente sono un fautore dell’unbossing: si tratta di una cultura aziendale proveniente principalmente dal nord Europa che non prevede capi, o perlomeno l’organigramma è molto più piatto e tutti lavorano per obiettivi. Ci si incontra per confrontarci sul lavoro svolto e ridefinire gli obiettivi stessi se essi non sono stati raggiunti.
Parliamo di intelligenza artificiale. È evidente che le aziende che ambiscano ad essere competitive non possano prescindere da questo strumento importante. A che punto è l’applicazione nella vostra azienda e quali sono i vantaggi che avete già misurato o che pensate di ottenere nel lungo periodo?

Su questo tema mi sento abbastanza preparato.
Sinceramente lo è su tutto, dottore!
In questo caso lo affermo perché ho fatto diversi corsi e approfondito con tanti studi e lo considero un acceleratore e non un risolutore del problema. Abbiamo già un piano per applicarla al nostro archivio e accelerare così la risposta alle ricerche. Sostanzialmente è uno strumento che ci aiuta a rendere la struttura sempre più flessibile e capace di dare le risposte più velocemente. Mi consenta di chiarire, però, un aspetto fondamentale.
Prego.
L’intelligenza artificiale non ci sostituisce. Ci affianca. La parola che usa Microsoft per identificarla è Copilot, copilota. Ma non è lo strumento che risolve i problemi. Alla fine, è sempre la persona che può risolvere il problema. E fondamentale, oltre ad aver compreso questo, resta la preparazione al suo utilizzo con un approccio bottom-up.
Oggi siamo a Milano Unica. Quanto è importante essere qui per un’azienda come Clerici Tessuto?
Le fiere sono fondamentali perché sono uno dei sempre più rari momenti di incontro di persona. Quindi anche Milano Unica è necessaria e va fatta, magari pensando a innovare alcune modalità, lasciando indietro alcune vecchie logiche. Credo che oggi la fiera sia più importante come meeting point che come momento di commercializzazione o di business. In ogni caso per noi resta una milestone dove si presenta la collezione, ci si confronta con i competitor, i clienti vengono a trovarci. Per cui, lo dico anche al dottor Canclini – il presidente di Milano Unica, ndr – che ho avuto il piacere di incontrare poco tempo fa, secondo me questa fiera resta comunque fondamentale per il distretto.
Vogliamo chiudere con un’ultima domanda: un consiglio ai giovani da chi ha una carriera importante come la sua?
Mi coglie impreparato – si schernisce Rossini, mentre riflette qualche secondo in più rispetto a tutte le altre domande -. Però, in effetti, una cosa la voglio suggerire, non solo ai giovani anche se a loro più di tutti: le situazioni di crisi, quelle in cui ci sono problemi, quando l’organizzazione non è perfetta, laddove le cose non sono lineari, sono situazioni molto più formative di quelle in cui ci si trova i binari già tracciati. Vorrei che guardino con occhi diversi quel posto dove ci si trova a dover risolvere problemi: è molto più motivante rispetto a un luogo dove tutto è lineare e il nostro lavoro quotidiano non incide così tanto. Non potrò mai dimenticare le parole di una professoressa di uno dei miei figli alla quale facevo notare quanto il ragazzo si trovasse molto bene con lei e molto meno bene con altri professori. Lei mi rispose: ci sono professori buoni ma ci sono professori anche molto meno buoni e suo figlio deve imparare ad adattarsi. L’adattamento, quindi, è fondamentale. Come ha recentemente detto anche la nuova Managing Director di Stellantis Italia, tanto per tornare all’automotive, riprendendo una famosa citazione di Darwin, “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento” e mai come in questo momento storico per questo settore tale concetto è valido.
A cura di Stefano Rudilosso