A colloquio con… Alessandro Santoro, General Manager di Acqua S. Bernardo Cantù

Nel panorama sportivo italiano, e in particolare in quello della pallacanestro, poche storie riflettono l’intreccio indissolubile tra una città e lo sport tanto quanto quella di Cantù con il basket. Da quasi un secolo, infatti, la capitale del legno brianzola – altro binomio inscindibile – ha visto crescere una passione che ha trasceso il tempo e lo spazio, intrecciandosi nel tessuto sociale e culturale locale. La pallacanestro a Cantù, fondata nel 1936, non è solo uno sport, ma un patrimonio di emozioni, vittorie e identità, che ha portato la squadra ad essere una delle più gloriose d’Italia. Dai primi passi agli allori nazionali, Cantù e il suo basket rappresentano il binomio perfetto che continua a tessere una storia di successo e passione con ogni rimbalzo, ogni canestro segnato. Con due Coppe dei Campioni, quattro Coppe delle Coppe, quattro Coppe Korać, due Coppe Intercontinentali, tre scudetti, due edizioni della Supercoppa italiana, è una delle due squadre italiane (l’altra è l’Olimpia Milano) che hanno conquistato tutti i trofei internazionali e la seconda squadra più titolata nelle competizioni europee dopo il Real Madrid: per questo motivo viene chiamata la Regina d’Europa. Una regina orfana, però, del suo castello, se si può proseguire con la metafora, perché da tempo, da quando ha dovuto abbandonare lo storico palazzetto teatro di grandi successi, il Pianella, la prima squadra, che da qualche anno milita in A2, è costretta a giocare le partite casalinghe a Desio.

Il coach Nicola Brienza con Alessandro Santoro

Ma, finalmente, la luce in fondo al tunnel si vede: Cantù Arena, la società costituita per la realizzazione del nuovo palazzetto di Corso Europa, ovviamente a Cantù, gemmata da Cantù Next, ha potuto avviare i lavori con obiettivo la stagione 2026/2027, proprio quella dei 90 anni della Pallacanestro Cantù. Molto si deve alla tenacia, alla passione, all’affetto di importanti aziende del territorio che hanno creduto nel progetto di ridare una casa canturina al basket. E che casa! Una vera e propria arena polifunzionale corredata anche da spazi commerciali come si esige nei più moderni templi dello sport. Non è solo Cantù, infatti, a costruire la sua nuova arena: sono numerose le città italiane che, sull’onda dei numeri di pubblico in grande crescita, +9% nei palazzetti e +48% sui social rispetto alla stagione scorsa, sono pronte a progettare e inaugurare nuovi spazi per accogliere i tanti tifosi, trasformando però quella che fino a poco tempo fa era una presenza limitata all’aspetto agonistico–sportivo in una vera e propria esperienza sensoriale. E in questo contesto di euforia e di grande fermento, incontriamo il general manager della Pallacanestro Cantù, Alessandro Santoro, da oltre due anni alla guida della società. Dopo quasi vent’anni a eccellenti livelli sportivi come playmaker di Brindisi, Ragusa, Reggio Calabria e Castel Maggiore, 533 presenze in serie A all’attivo, Santoro è diventato general manager di diverse squadre, ultima delle quali, prima di approdare a Cantù, è stata la Leonessa di Brescia e recentemente è stata annunciata la sua riconferma nel consiglio direttivo della Lega Nazionale Pallacanestro.

Partiamo dal suo arrivo a Cantù: qual è stata la spinta che le ha fatto decidere per la Città del Mobile?

Non credo si sia trattato di una spinta perché, per chiunque vive di pallacanestro, Cantù ha sempre rappresentato il top delle aspettative professionali per chi fa il mio lavoro. Ero fermo dopo essere uscito da Brescia, per cui l’ho ritenuta un’opportunità da prendere al volo e di corsa.

Che squadra e che società ha trovato ai tempi del suo arrivo?

Ho trovato una squadra già competitiva e una società con le idee chiare, molto ben organizzata e un potenziale a tutto tondo che aveva già permesso di imboccare la strada per la costruzione della nuova Arena di Cantù.

E che città ha trovato?

Una città gradevolissima e molto adatta a una famiglia come la nostra. La vivo quotidianamente con mia moglie Marina in grande serenità perché è un luogo ideale per crescere i nostri figli che si sono ambientati velocemente al pari di noi stessi. È evidente che la pallacanestro a Cantù, in certi casi, è nell’acqua che scorre dai rubinetti e questo rende le cose più veloci e speciali.

Quali sono stati i suoi primi interventi come General Manager?

Appena arrivato in corsa nel marzo del 2021 si poteva fare ben poco ma c’erano le basi solide di una squadra competitiva che è arrivata comunque in finale contro Scafati. Nelle stagioni successive abbiamo mantenuto la stessa competitività ma non siamo riusciti, dal punto di vista prettamente sportivo, a conquistare il nostro obiettivo. Accanto a questo, si è lavorato per potenziare un’organizzazione già consolidata e di alto livello anche attraverso iniziative ed eventi come il Xmas Awards, che resta uno degli appuntamenti più importanti della stagione insieme a tanti altri.

Che obiettivo si è posto?

L’obiettivo è sempre lo stesso, riportare Cantù in serie A. Lavoriamo ogni giorno perché questo non diventi un’ossessione, viste le ambizioni e le attese della piazza, ma sappiamo bene che è quanto di più strategico di cui abbiamo bisogno.

Come sono le sensazioni all’inizio del campionato rispetto alla nostra squadra?

Le sensazioni sono positive. La concorrenza è spietata e giocare contro Cantù è uno stimolo per chiunque giochi contro di noi.

Visti i risultati degli scorsi campionati, pensa che la nuova formula di promozione verso la serie A1 offra maggiori possibilità di risalita?

Questo è il campionato più complesso e difficile degli ultimi 15 anni. Nulla è scontato per nessuno, tantomeno per noi. Soprattutto, dobbiamo tenere a mente che ogni cosa che desideriamo o vogliamo dobbiamo conquistarla perché nessuno ci regalerà nulla. Non vinciamo perché siamo Cantù, ma perché ci sentiamo Cantù.

Si percepisce la sensazione che il livello dell’A2 si sia alzato notevolmente negli ultimi anni vista anche la presenza di numerose piazze storiche che militano in questo campionato. Se è vero, quali sono secondo lei le motivazioni? Potrebbe proseguire questo trend positivo?

Il campionato di serie A2 è il campionato dei giocatori italiani. È la categoria che può far bene a piazze storiche che devono rigenerarsi prima di rituffarsi nella massima serie. Tutto il movimento della pallacanestro dilettantistica, nel nome ma non di fatto, sta crescendo in termini di seguito e visibilità anche per la presenza in campionato di piazze storiche come la nostra e come tante altre. Tra qualche anno, sono certo, non sarà più considerato un dramma per chiunque dovrà disputare questo campionato ma un’opportunità per risanare, strutturarsi e consolidarsi prima di tornare nella massima serie.

Se ci consente un paragone, nel calcio ormai da anni c’è il forte interesse da parte di fondi esteri che investono ingenti patrimoni e conseguentemente alzano il livello delle squadre italiane. Potrebbe accadere anche nel basket?

Presto questo interesse arriverà anche nel basket ma bisognerà aumentare il livello di consapevolezza rispetto alla necessità di avere impianti, strutture adeguate e un cambio di passo verso una cultura sportiva, intesa come gestione di un evento che produce emozioni ma non esclusivamente proiettato verso il solo e unico risultato sportivo.

Con il suo arrivo a Cantù si è percepita una forte spinta nell’ambito delle relazioni sociali non limitate alla città brianzola ma estesa a tutta la provincia. Qual è il progetto sotteso a questo attivismo?

Il progetto è quello di allargarsi a macchia d’olio per coinvolgere il territorio fino all’ultimo metro. Se durante la settimana sei nel territorio, è uno dei motivi che spingerà la gente a venire al palasport la domenica.

In questo senso anche la presentazione della squadra a Villa Erba, a Cernobbio, e non a Cantù, ha l’obiettivo di far sentire la squadra come patrimonio di tutta la provincia?

Assolutamente sì. Quando parlo di gente mi riferisco a persone appassionate o da appassionare, alle loro famiglie e all’intera comunità. Più cresce l’interesse, più cresce il potenziale di una realtà sportiva che si candida ad essere un “brand” in cui una comunità si riconosce.

Com’è il rapporto con il presidente della squadra Allievi?

Semplicemente straordinario. Lui è l’equilibratore tra l’obiettivo di tornare in serie A e le ansie di doverci tornare ad ogni costo. La sua presenza attiva è quella sintesi di cui c’è bisogno per restare concentrati sul lavoro da fare, passo dopo passo, partita dopo partita. Accanto a lui, un CdA senza il quale Cantù non potrebbe raccontare la sua storia presente e futura.

Quanto è importante riuscire ad avere la nuova arena pronta per tornare a giocare a Cantù?

Cantù, con la nuova Arena, sarà la precorritrice e l’artefice di un cambiamento epocale che condizionerà in positivo i percorsi di chiunque voglia affacciarsi a questo sport. Un grande progetto verso il quale abbiamo una forte responsabilità e rappresenta la vera svolta dei prossimi decenni del basket canturino. Gli uomini sognano più il ritorno che la partenza e tornare a casa avrà il sapore di un qualcosa a cui non si può associare un prezzo.

Lo sport ha una valenza sociale, educativa e valoriale importante: c’è un progetto di Pallacanestro Cantù verso i giovani?

Il PGC di Antonio Munafò è una tra le realtà giovanili più importanti d’Italia. è il miglior progetto che Pallacanestro Cantù potesse trovare con il massimo della condivisione reciproca. Anche in questo caso si sta lavorando insieme per sfruttare al meglio le potenzialità di un territorio che, attraverso lo sport, può indicare la strada e insegnare ai giovani.

L’ultima domanda la riserviamo ancora ai giovani ma oltre l’aspetto sportivo: che consiglio darebbe loro, in generale?

Lo sport è qualcosa che può dare ad ognuno di loro un assaggio di come si deve affrontare la vita nel rispetto delle regole, della convivenza con chiunque e della determinazione che serve per conquistare qualcosa o per realizzare i propri sogni. Lo sport non prevede scorciatoie e ce ne sono molte che possono dare solo soddisfazioni apparenti ma non durature, perché nella vita non esistono scorciatoie per il successo. Ogni cosa che costa fatica alimenta il valore della nostra dignità di persone perbene. Ci vorrà un po’ più di tempo per arrivare dove di desidera ma si arriva.

 

A cura di Stefano Rudilosso