BRIC’S E L’IMPRESA DI LASCIARE IL SEGNO

Roberto Briccola

Intervistare Roberto Briccola è il sogno di ogni giornalista. Pacato, chiaro, esaustivo, il Presidente di Bric’s accompagna l’interlocutore attraverso le vicende della storica azienda di Olgiate Comasco con una capacità di narrazione rara. È come se intuisse le domande che gli verranno poste, anticipandole ed evidenziando abilmente i punti più significativi di una storia d’eccellenza tutta italiana. Una storia di impegno, amore e dedizione, iniziata nel 1952 grazie all’intraprendenza e al coraggio di Mario Briccola, suo padre.

Lo scorso settembre avete festeggiato 70 anni con l’inaugurazione del nuovo store milanese: finora, quali sono state le tappe principali della storia di Bric’s?

Il Bric’s Store di Galleria Vittorio Emanuele a Milano

Mio padre aveva una grande grinta e una grande voglia di fare. Nel dopoguerra, parliamo del 1948, lavorava a Varese, che all’epoca rappresentava il distretto principale della valigeria e della pelletteria, dove ha imparato i trucchi del mestiere. Aveva grandi ambizioni ed era deciso ad aprire la sua azienda, così nel 1952 fondò Industria Valigeria Fine Mario Briccola, che già nel nome esprimeva chiaramente la sua mission, quella di realizzare prodotti raffinati. Era una persona corretta che godeva della fiducia di molti e, grazie all’aiuto dei familiari, degli amici e del Banco Lariano, trovò idee, risorse umane e risorse finanziarie per dare concretezza alla sua visione. Non volle limitarsi ad essere un artigiano e nel 1960 costruì il primo opificio. Va detto che mio padre si interessava anche di nuovi processi produttivi, di tecniche e metodi di lavorazione innovativi, non si limitava a realizzare un buon prodotto. Già alla fine degli anni Sessanta, l’azienda contava 180 dipendenti ed era una delle più grandi produttrici di articoli da viaggio in Italia. Nel contempo, fu chiaro che serviva una rete distributiva e venne creato il marchio Bric’s. Per assecondare una tendenza esterofila molto diffusa all’epoca, al diminutivo del nostro cognome – Bric, da Briccola – fu aggiunto il genitivo sassone, che è rimasto tuttora e di cui andiamo orgogliosi. All’inizio degli anni Settanta la produttività subì un contraccolpo, perché non si poteva più lavorare a cottimo, ad incentivo, i contratti di lavoro diventarono più rigidi e risultava difficile essere più competitivi rispetto agli artigiani e alle multinazionali che si affacciavano sul mercato. Io e mia sorella Mariangela siamo entrati in azienda proprio in quel periodo e ci siamo dovuti scontrare con questa triste realtà. Abbiamo deciso di ridurre i dipendenti da 180 a 100, di intraprendere una vera e propria riorganizzazione aziendale. Per mio padre fu un duro colpo: non aveva mai dovuto affrontare temi come cassa integrazione e licenziamenti, ma non avevamo scelta. Avendo sempre avuto un buon rapporto sia con Confindustria che con i sindacati, siamo riusciti a portare a termine la riorganizzazione senza particolari problemi. Lo dico perché nelle aziende non ci sono solo momenti di crescita ma anche momenti difficili, che ti costringono a una riflessione. L’importante è affrontarli con le idee chiare sul futuro. Quando nei primi anni Ottanta entrarono a far parte del management anche altri fratelli – Giovanni, Attilio, Pietro, Beatrice – mio padre decise di affiancarci un consulente di direzione generale di grande esperienza, il dott. Luigi Landi. All’inizio ero scettico, ma devo dire che, con la sua intelligenza, Landi ci mise di fronte a diverse problematiche che andavano condivise, come la mission, la vision, l’organigramma, gli obiettivi. Ci fece capire che, pur non essendo allineati, potevamo essere complementari. Grazie a lui imparammo l’importanza del dialogo, delle strategie comuni e della definizione di un percorso che si identifica nel budget. Capimmo, inoltre, che dovevamo definire i nostri ruoli e decidemmo che ognuno di noi sarebbe diventato responsabile di una funzione aziendale, rimanendo tuttavia coesi. Questo è stato il punto di partenza per due processi molto importanti, l’internazionalizzazione dell’azienda e l’allungamento della filiera con l’apertura dei Bric’s Store.

Può parlarcene? 

Roberto Briccola con il figlio Carlo e il nipote Tommaso

Già all’epoca, oltre che produrre la linea Bric’s, lavoravamo per grandi marchi ma, forse a causa di una visione ancora troppo provinciale dell’azienda, non osavamo realizzare prodotti di alta gamma con il nostro brand. Il più giovane dei fratelli, Pietro, lanciò l’idea di provare a posizionarsi in un segmento medio-alto. Fece alcune ricerche e, dopo un viaggio in Germania insieme ad Attilio, capì le enormi potenzialità del mercato tedesco, poi di quello svizzero e quindi inglese, e l’importanza di stringere alleanze con altre aziende del settore. La prima fu Kipling, che rappresenta un segmento complementare al nostro e di cui diventammo distributori in esclusiva per il mercato italiano. Questa operazione ci permise di catturare l’attenzione di un pubblico più giovane e dei rivenditori. In seguito avviammo una collaborazione con Tumi, azienda americana leader nella valigeria di lusso. Entrare nel mercato americano presentati da un marchio così importante era come avere una certificazione di affidabilità e qualità. In questo modo potemmo prepararci all’apertura dei Bric’s Store. Il primo si trovava a Milano, in via Dogana, a destra del Duomo. Non fu la scelta migliore perché, pur essendo in centro, non era in un punto di passaggio. Non era la location più costosa, era quella che ci potevamo permettere… qualche anno dopo, nel 1999, ci spostammo in Galleria Vittorio Emanuele, facendo un atto di coraggio e un investimento finanziario consistente che però si è rivelato fondamentale. Lo Store in galleria è una finestra sul mondo, attira un pubblico che per l’80% è composto da clientela internazionale. In poche parole, si tratta di “export che fai in casa”. Poi sono arrivate Parigi, Düsseldorf, New York… abbiamo aperto circa cinquanta punti vendita in 15/20 anni. Non tutte le aperture hanno avuto successo e nel tempo ci siamo resi conto che le location migliori erano quelle frequentate dal turismo internazionale, come gli aeroporti, tra cui Malpensa, Fiumicino, Francoforte, oppure le mete più iconiche, come Piazza di Spagna a Roma. E abbiamo scoperto l’importanza di monitorare il sell out, ovvero di controllare quello che esce dal negozio in modo da capire quali sono le tendenze del momento e i gusti del consumatore. Questa esperienza diretta nel sell out ci rafforza e ci permette di creare nuove collezioni di successo.

Come avete vissuto e affrontato il passaggio generazionale?

Mario Briccola a Firenze

Non è stato certo un processo facile, soprattutto in una family company come la nostra, con sei fratelli che sono soci, diventano manager e devono lavorare insieme. Devo dire però che per noi è avvenuto tutto in modo graduale, prima è stato il mio turno, poi è arrivata Mariangela e quindi tutti gli altri. Nostro padre è stato estremamente chiaro e disponibile, e possiamo ritenerci molto fortunati perché ci ha sempre incoraggiato a entrare in azienda, forse anche con il desiderio che il suo sogno imprenditoriale proseguisse a lungo. È un po’ come il passaggio del testimone nella corsa a staffetta: perché funzioni, chi corre davanti agli altri deve avere la volontà di lasciare spazio e responsabilità a chi lo segue. Io poi, essendo il maggiore, sono sempre stato incoraggiato da amici e familiari, sentivo il dovere di dare una mano, in particolare perché sono arrivato in un momento delicato che richiedeva una certa dose di coraggio. Se l’azienda in quegli anni fosse stata florida, magari mi sarei comportato diversamente, in modo più leggero. A 18 anni probabilmente avrei preferito divertirmi con le auto e le barche… invece mi sono rimboccato le maniche, e così hanno fatto gli altri. Mio padre mi ha sempre detto “Roberto, guarda che l’azienda non è tua, è di tutti voi e devi favorire l’ingresso dei tuoi fratelli”. Così abbiamo cercato di assecondare le attitudini di ciascuno: Mariangela è più razionale e segue la parte amministrativa e finanziaria, io mi sono sempre occupato di prodotto e processi produttivi e faccio tanta ricerca e sviluppo, Giovanni segue l’aspetto informatico e logistico che è fondamentale, Attilio, il nostro Ceo, si occupa anche della direzione commerciale, Beatrice gestisce la rete dei Bric’s Store, mentre Pietro, il più giovane, è il “goleador” del gruppo, il Presidente di Bric’s USA che con entusiasmo e intraprendenza è sempre alla ricerca di nuovi mercati. Sono ormai 35 anni che la seconda generazione lavora insieme e posso dire che il passaggio generazionale è avvenuto con successo. Ora cerchiamo di trasmettere gli stessi valori alla terza generazione, che sta entrando in azienda e sta già iniziando a muoversi molto bene.

Suo padre è stato un vero e proprio precursore: quali sono gli insegnamenti che ha più a cuore?

Sicuramente la capacità di ascolto, perché tra junior e senior in azienda deve esserci la volontà di costruire qualcosa di nuovo, di apportare un contributo in maniera coerente con quanto è stato fatto prima. Come nella costruzione di un palazzo, si possono alzare altri piani solo se ci sono le fondamenta. Da mio padre ho capito che bisogna avere la capacità di dare suggerimenti in modo discreto, facendo miglioramenti e non rivoluzioni. Che bisognerebbe evitare le discussioni di pancia, quel botta e risposta che ti fa allontanare dal seminato. Quando doveva farmi degli appunti sul mio comportamento, papà mi scriveva delle vere e proprie lettere in cui mi spiegava dove avevo sbagliato. Devo dire che mi è stato molto utile per riflettere e per rispondergli con calma, a voce o per iscritto, evitando reazioni istintive. E poi mi ha insegnato a studiare il comportamento dei colleghi cercando anche di collaborare, senza necessariamente farsi la guerra. Il mondo è grande e quando si collabora si possono creare sinergie interessanti. Un altro insegnamento importante appare chiaro in una foto d’epoca che gli è stata scattata all’inizio degli anni Cinquanta, in Piazza della Signoria a Firenze: non aspettare che il cliente venga da te, datti da fare, prendi la valigia e vai.

Quali sono gli ingredienti del successo di Bric’s?

La sede di Bric’s a Olgiate Comasco

Il successo di Bric’s non è da ricondursi a una persona sola, ma alla capacità di collaborare in team. Questa squadra include sicuramente la famiglia Briccola ma anche tutti i nostri collaboratori. La nostra è un’organizzazione funzionale piuttosto che gerarchica, ed è caratterizzata da un forte spirito di lealtà. Mi piace pensare che siamo un team di intra-imprenditori, più che di imprenditori. Le nostre quattro parole chiave sono: tradizione e innovazione, eleganza e funzionalità. Sono le nostre colonne portanti. Pensiamo al prodotto: negli anni il look di una valigia può essere anche lo stesso, ma la tecnica cambia. Una volta le valigie erano trasportate dai facchini e potevano pesare anche molti chili, ora devono essere leggere, facili da trasportare e resistenti. La linea Bellagio, con i suoi caratteristici riporti color tabacco, ha un sapore vintage ma è prodotta con tecnologie moderne e materiali hi-tech. Non puntiamo ad essere necessariamente un’azienda “all’ultima moda”, vogliamo realizzare prodotti eleganti e funzionali.

Cosa c’è nel futuro di Bric’s? 

I nostri primi 70 anni sono una tappa, non un traguardo. Vogliamo proseguire su questa strada, farci conoscere in tutto il mondo, e soprattutto migliorare la nostra presenza in Asia.

Se dovesse dare un consiglio ai giovani che stanno intraprendendo la loro carriera professionale, quale sarebbe?

I consigli da dare sono tanti. Sicuramente suggerirei di vedere cosa succede in azienda e nel proprio settore, e capire cosa si può fare di più per soddisfare il mercato. Nel dialogo tra generazioni, consiglio loro di immaginare quali sarebbero le azioni migliori da introdurre per dare un apporto significativo. Il mondo cambia velocemente, e mi sento di dare un consiglio anche ai senior: noi abbiamo esperienza e proprio per questo a volte diventiamo troppo cauti, tendiamo a fare come abbiamo sempre fatto. Invece i giovani possono davvero dare un apporto importante: per questo dovremmo cercare di vedere il mondo con i loro occhi.

A cura di Erica Premoli