È probabile che molti di noi, se dovessero fare l’identikit di uno chef stellato, penserebbero subito a un uomo di mezza età, leggermente egocentrico e accentratore, forse vanitoso, incline a format tv e spot pubblicitari. Fare una chiacchierata con Samuel Carugati, classe 1997, spazza via con una ventata di freschezza quelli che probabilmente – e per fortuna – sono solo schemi mentali da superare. Il giovane chef comasco, insieme al suo team del Krone di St. Moritz, ha ottenuto la prima Stella Michelin lo scorso novembre, dopo solo un anno e mezzo dall’apertura del suo ristorante nella rinomata località delle Alpi svizzere.
Samuel, raccontaci il tuo percorso di studi e le tue esperienze prima di approdare a Krone…
Sono originario di Lomazzo, ho studiato alla scuola alberghiera CFP di Monte Olimpino e dopo quattro anni ho iniziato subito a lavorare, prima a Londra e poi a Como al vecchio The Market Place con Davide Maci. In seguito sono andato in Svizzera, al Conca Bella dello chef Andrea Bertarini, poi a Como ai Tigli in Theoria con Franco Caffara. Ho fatto altre esperienze a Lugano, in Tenuta dell’Annunziata a Uggiate Trevano e poi ho deciso di fare una stagione invernale in Engadina… ormai sono qui da tre anni. Le esperienze che ritengo più formative sono state quelle con Franco Caffara e Davide Maci, anche se devo dire di essere molto autodidatta: sono un bel testone e ascolto molto poco quello che mi dicono gli altri… è un problema e al tempo stesso una fortuna!
Hai notato differenze dal punto di vista lavorativo tra Italia e Svizzera?
Il contesto di St. Moritz è molto particolare: la clientela è internazionale, si va dall’arabo allo spagnolo e questo incide anche sullo stile di lavoro. Ritengo che in Italia ci sia maggiore libertà creativa: qui in Svizzera siamo, lo dico tra virgolette, più “limitati” perché dobbiamo rispettare le esigenze di una clientela molto eterogenea e quindi seguirne l’andamento e le inclinazioni. Proprio per questo abbiamo deciso di aprire un ristorante italiano, con piatti tradizionali rivisitati in chiave moderna.
Quanto e come le radici comasche si riflettono nella tua cucina?
La mia base è molto radicata nel territorio comasco e lombardo in senso più ampio, con influenze emiliane che derivano da mia nonna. La filosofia di Krone si fonda sulla cucina tradizionale lombarda per poi svilupparsi in una cucina regionale italiana. La felicità, in cucina e attorno alla tavola, si ottiene quando si riesce a tornare bambini: tutto ruota attorno alla “memoria palatale” che ognuno di noi negli anni costruisce. È questa memoria che vogliamo stimolare attraverso le nostre proposte culinarie.
Che difficoltà avete incontrato e come le avete superate?
Io e i miei due soci, Carolina Moro di Chiavenna (l’azienda di famiglia, Bresaole Del Zoppo, è tra le più importanti produttrici di bresaola della Valtellina, ndr) e Fabio Rovisi, trentino, dovevamo aprire Krone nel novembre 2020, nel periodo della pandemia. Il giorno prima dell’inaugurazione ci hanno chiuso il locale ed è stato così per sei mesi, con enorme difficoltà. In quanto startup, non abbiamo ricevuto aiuti dallo Stato svizzero. Finalmente nel giugno 2021 abbiamo aperto. In estate a St. Moritz non c’è la clientela della stagione fredda, ma siamo comunque riusciti a superare questo periodo di iniziale incertezza e poi durante l’inverno successivo abbiamo capito le reali potenzialità del nostro ristorante. Speriamo di aver svolto un buon lavoro e il traguardo della Stella Michelin è un riconoscimento che ci rende molto orgogliosi.
A proposito di giovani e propensione a mettersi in gioco: è vero che i ragazzi non hanno voglia di impegnarsi o questa espressione è ormai diventata un luogo comune?
Premetto che il nostro team è molto giovane: io ho 25 anni, i miei collaboratori hanno tutti tra i 27 e i 28 anni. Li chiamo “cavalli”: come me amano questo lavoro alla follia, si impegnano moltissimo e fanno tantissimi sacrifici. Il mondo della ristorazione vive una situazione difficile e, come dicevi, molti ragazzi non sono disposti a fare questo tipo di sacrifici. Spero che la situazione cambi, soprattutto in Italia dove a incidere molto a mio parere sono anche i salari inadeguati. In Svizzera ne risentiamo meno perché la legge impone stipendi base che garantiscono un tenore di vita adeguato. Purtroppo in Italia molti ragazzi vengono sfruttati e non sono apprezzati per il duro lavoro che fanno, che implica turni pesanti e naturalmente ti impegna in periodi che per la maggior parte delle persone sono considerati festivi.
Ti piacerebbe tornare in Italia?
Io, Carolina e Fabio siamo innamorati del lago e sicuramente in futuro sogniamo di fare qualcosa anche in Italia. Stiamo valutando se allestire nel 2023 un pop-up di qualche settimana a Como, quando qui a St. Moritz siamo in bassa stagione. L’importante è riuscire a trovare un progetto sostenibile, che funzioni nonostante tutte le problematiche attuali.
Che consigli daresti a un giovane che sta per intraprendere il suo percorso professionale?
Che il duro lavoro porta sempre risultati e, se ne porta di brutti, sono solo isolati. Come si sarà intuito, non ho un carattere molto riflessivo e, soprattutto, non amo restare fermo ad aspettare oppure a lamentarmi. Ai giovani vorrei dire che l’importante è non mollare: il mio motto è: “testa bassa e lavora più che puoi!”
A cura di Erica Premoli