Giovanna Baglio ama profondamente tutto ciò che ruota intorno al mondo del tessile. Mentre sediamo nelle sale del Museo della Seta di Como, il centro espositivo di cui è Presidente, ogni volta che il discorso si sofferma sull’impegno e i progetti messi in campo per promuovere questa vera e propria istituzione cittadina, lo sguardo attento, tipico di chi è naturalmente curioso e propenso all’ascolto, le si illumina.
Lei è diventata Presidente del Museo in un periodo molto particolare. Può raccontarci quei primi mesi?
Fin dalla mia elezione, avvenuta durante la pandemia, abbiamo spinto tantissimo sul digitale e ci siamo impegnati ad essere sempre presenti sui canali social, sollecitando l’attenzione del pubblico e promuovendo anche visite a distanza. In attesa di ripartire, abbiamo messo in cantiere molte attività, lavorando in assoluta economia e cercando di essere sostenibili. Abbiamo ideato mostre temporanee, tirando fuori dagli archivi tessuti, abiti, macchinari, storie legate al distretto tessile che potevano servire a mantenere vivo l’interesse e sopperire alla mancanza dei gruppi, delle scuole, che rappresentano il nostro core business.
Cosa l’ha spinta ad accettare questo incarico così bello e, al tempo stesso, così impegnativo?
Ero Presidente dell’Associazione Ex Allievi del Setificio e, quando si è presentata l’occasione, il mondo dell’industria tessile ha proposto il mio nome. Non sono un’imprenditrice, ma sono cresciuta “a pane e seta” e ho sempre alimentato la mia passione per il mondo tessile, analizzandolo nel dettaglio. Credo di aver accettato spinta dalla voglia di far conoscere il mondo del tessile.
Cosa offre il Museo ai visitatori?
Il nostro è un Museo didattico: tutte le attività sono mirate a raccontare la storia del distretto tessile comasco, invitando i visitatori a mettere “le mani in pasta”, ad esempio producendo stampe o creando marmorizzazioni, che poi rimangono come ricordo delle esperienze vissute qui. Il Museo della Seta è vivo: quando a maggio ci sono i bachi, i bambini – e non solo loro – sono contentissimi, raccolgono le foglie di gelso all’esterno e gliele danno da mangiare, contribuendo all'”economia domestica” del Museo. Siamo aperti anche a contaminazioni con altre discipline e ambiti culturali, legati all’arte, alla musica,… Per esempio, abbiamo organizzato laboratori di profumazione che sono piaciuti moltissimo. Le esperienze che proponiamo sono sempre sensoriali, vogliamo far vedere, toccare, sentire, raccontando storie di uomini e donne che hanno lavorato nelle aziende, presentando l’evoluzione dell’industria tessile, che è sempre più sostenibile. Stiamo inoltre completando la digitalizzazione del nostro immenso archivio: in genere viene utilizzato dagli studenti che devono effettuare ricerche, ma potrebbe essere utile anche per le aziende.
Il Museo svolge un ruolo molto importante anche nell’ambito di Como Città Creativa UNESCO…
Esatto. Insieme al Comitato UNESCO proponiamo attività per sottolineare quanto sia importante la creatività nel mondo tessile. Collaborano con noi anche Fondazione Volta, Fondazione Setificio, l’Associazione Ex Allievi del Setificio e l’ISIS Paolo Carcano. Vorremmo che la squadra si allargasse ancora, perché da soli non si va da nessuna parte e vorremmo portare il Museo fuori dai confini cittadini. Confindustria Como, ad esempio, ci sta aiutando a portare la mostra La spina dorsale di un uomo, dedicata alla cravatta, il prossimo novembre a Lione, dove avremo visibilità internazionale. E poi dobbiamo ringraziare tutte le realtà, imprenditoriali e non, che ci affiancano e ci sostengono, e che spero siano sempre più numerose. Essere soci del Museo significa poter godere di reciproco supporto: noi riceviamo suggerimenti e consigli preziosi e il Museo può essere utilizzato come location suggestiva. I nostri locali sono ampi, possiamo ospitare corsi di formazione, presentazioni di libri, premiazioni. Chissà, magari anche una sfilata di moda!
Cosa sogna per il futuro del Museo?
Mi piacerebbe che la città di Como venisse al Museo, perché molti ancora non ci conoscono. Non parlo solo dei cittadini ma anche delle istituzioni. Conosco tantissimi comaschi che non sono mai venuti qui e chi viene rimane sorpreso dell’esistenza di una location così in città. E poi vorrei che diventasse un “salotto”, dove incontrarsi, parlare, magari anche leggere, approfittando della tranquillità di questi ambienti. Sarebbe bello che le aziende promuovessero il Museo regalando biglietti ai dipendenti. Al momento non possiamo somministrare alimenti, però si potrebbe pensare ad un’area ristoro/bar, nella piazza adiacente che condividiamo con l’Università dell’Insubria. Bisognerebbe sollecitare un progetto che proponga un intervento in questa direzione, compresa la possibilità di avere più parcheggi. In un’ottica di maggiore promozione, abbiamo creato una rete di musei sul territorio, insieme al Museo della barca lariana a Pianello del Lario e al Museo del ciclismo Madonna del Ghisallo di Magreglio, realtà diverse che raccontano la storia del lago. I turisti potranno visitarli con un unico biglietto, facendo il giro del lago e fermandosi qualche giorno. A Como oggi c’è un turismo “mordi e fuggi”, invece se si riuscisse ad estendere la durata del soggiorno, si potrebbero programmare visite interessanti, passeggiate a piedi, occasioni per approfondire la storia dell’industria tessile e temi molto attuali, come l’utilizzo responsabile dell’acqua. Inoltre dovremmo riuscire a capire qual è l’identità della città di Como. Ad oggi credo che ancora nessuno l’abbia capito. Chi siamo? Qual è il cuore che fa pulsare la città? Mi verrebbe da dire che è l’industria tessile, perché ci sono nata e cresciuta, ma esiste anche Alessandro Volta… come veniamo percepiti all’esterno? Se si riuscisse a far diventare il Museo il veicolo di questo racconto, potremmo generare ancora più valore.
Prima accennava al problema dei parcheggi, che, in una location come la vostra, sono fondamentali. Che caratteristiche dovrebbe avere la sede ideale?
Per la nuova sede abbiamo ricevuto diverse proposte che vanno valutate con cura. Sicuramente uscire da qui è importante: come avrete notato, siamo in un luogo nascosto, senza parcheggio, mentre la sede ideale dovrebbe poter essere ben visibile e offrire ampi spazi per auto e bus turistici. Per promuoverci utilizziamo diversi canali: pubblicazione di articoli, eventi, mostre, volantini, e sfruttiamo i nostri profili social con un discreto riscontro, ma servirebbe un’ulteriore spinta per amplificare il messaggio.
Come sta procedendo il progetto di valorizzazione del video documentario “La seta di Ico”, girato 85 anni fa proprio a Como dal grande architetto e designer Ico Parisi?
Molto bene! Continua il nostro tour per proiettarlo in diverse città italiane e l’iniziativa sta suscitando molto interesse, non solo a livello locale. La pellicola era stata donata anni fa al Museo da Michele Canepa ed era rimasta a impolverarsi negli archivi. L’abbiamo recuperata, restaurata e digitalizzata. È un’opera importantissima ed emozionante, è un pezzo di storia, direi completa, del distretto serico comasco del primo dopoguerra, raccontata con un taglio molto poetico e romantico. Merita davvero di essere visto e condiviso.
Lei è da sempre molto impegnata sul tema della sostenibilità: se ne occupa quotidianamente anche in Ostinelli Seta…
Seguire la sostenibilità a 360° significa avere sotto controllo tutto ciò che ruota intorno alla creazione di un articolo tessile, seguirne ogni minimo aspetto. Per far sì che funzioni serve una squadra, ed è quello che stiamo cercando di fare.
Come incorporate questo concetto ormai imprescindibile all’interno del Museo?
Abbiamo di recente partecipato a un bando che ci ha dato l’opportunità di creare un percorso interattivo dedicato alla sostenibilità nella produzione della seta. Sostenibilità significa anche rendere accessibile il Museo. Penso in particolare ai disabili: le macchine esposte hanno pannelli in braille che permettono anche agli ipovedenti di leggere le didascalie. Qui la sostenibilità intesa come accessibilità è all’ordine del giorno: bisogna sempre essere pronti a rispondere alle richieste dei clienti, ovvero dei visitatori, da quelli più piccoli a quelli che richiedono particolari attenzioni.
C’è una persona che è stata di particolare ispirazione per lei?
Devo dire che nel mio percorso professionale sono stata fortunata, ho imparato molto da persone che mi hanno dato fiducia, e spero di aver contraccambiato. Quando lavoravo al Centro Tessile Serico, ho conosciuto l’Ingegner Isidoro Ronzoni (tra i fondatori e presidenti dell’Associazione Ex Allievi del Setificio, fu anche assistente del premio Nobel per la Chimica Giulio Natta, ndr): una persona gentile che mi ha insegnato ad approfondire le tematiche e che per me è stato un vero e proprio punto di riferimento. I suoi figli ne continuano il ricordo attraverso il Premio Ronzoni, dedicato agli studenti del Setificio che si distinguono per ampiezza di orizzonti culturali e profitto.
A proposito di studenti, qual è il loro rapporto con il Museo?
La fascia tra i 15 e i 20 anni è quella più difficile da intercettare. In collaborazione con il Rotary, stiamo cercando di attirare anche questo tipo di pubblico introducendo visori e realtà aumentata, per dare l’opportunità di visitare il Museo in modo differente. Si tratta di strumenti molto costosi che prevedono anche un’adeguata formazione del personale. Vorremmo coinvolgere anche i ragazzi del Setificio, sull’esempio di quanto già fatto in altre scuole del territorio che hanno iniziato a utilizzare questa tipologia di attrezzature.
Che consiglio darebbe a un giovane?
In azienda incontro tanti giovani e dico loro di chiedersi sempre il perché, di non fermarsi alle apparenze e di non arrendersi. Tutti sbagliamo, ma non bisogna demoralizzarsi. Dico loro di ascoltare, di riflettere e di mettere anche in discussione ciò che sentono e sanno, quando necessario. Io sono sempre “innamorata”, mi innamoro di qualsiasi cosa faccia. Tante volte rimango delusa, ma non importa, è questo quello che mi spinge, ed è questo quello che cerco di trasmettere ai ragazzi.
A cura di Erica Premoli