PROFESSIONE: SUSTAINABILITY MANAGER

Recentemente, a un incontro online organizzato da Unioncamere, è stato sottolineato come le figure professionali più ricercate nell’immediato e nel futuro saranno incentrate su quelle competenze che, statistiche alla mano, vedono meno partecipazione del sesso femminile. Durante questo incontro veniva quindi auspicato che molte giovani donne approcciassero le cosiddette materie STEM (Sciences, Technology, Engineering, Mathematics) per proporsi in futuro anche in questo segmento del mercato del lavoro.

Lisa Mazzon, radici lariane al 50%, smentisce quest’affermazione, e lo fa concretamente. Il nostro lago è nel suo DNA: sin da quando nel 2006 vinse i campionati italiani juniores di Canottaggio nel 4 senza femminile, e nel 2011, allora studente al Liceo Giovio, vinse il Premio Severino Ghioldi con l’articolo: Lago: Palestra di Vita. Un articolo apparso su La Provincia il 14 novembre 2021 la ritrae definendola un “cervello che torna”.

Formazione Finanziaria alla Bicocca, Master in Scienze Finanziarie e Bancarie alla Cattolica, dopo un’esperienza lavorativa a Zurigo, infatti, torna in Italia per collaborare con ClimatePartner, sede di Milano di una società tedesca, attiva nella sostenibilità: si occupa di calcolare il “carbon footprint” delle aziende suggerendo target di riduzione e strategie di compensazione. Fra i suoi molteplici impegni, riusciamo ad incontrarla via web per una breve conversazione.

Gentile Lisa, grazie per il suo tempo. Qual è la sua storia?

Lisa Mazzon – Credits: 2021 Juerg Kaufmann

Grazie a voi per l’invito! Dopo aver frequentato nel 2019 il corso sulla Sostenibilità organizzato da SUPSI Lugano nell’ambito del programma INTERREG e del Progetto SMART (vedi Industria Como del settembre 2019, dove la scopriamo sorridente, ritratta in primo piano nel gruppo partecipanti, nda) ho capito che ciò di cui mi stavo occupando presso la società fintech per cui lavoravo all’epoca non mi appagava completamente. Ho quindi pensato di presentare un progetto al Ceo: creare un programma di sostenibilità aziendale strutturato, di cui la società non era ancora dotata. Dopo sei mesi, mi sono trasferita a Zurigo come Sustainability Manager presso quella società. Da gennaio 2022 sono entrata a far parte del team italiano di ClimatePartner a Milano. È una società fondata in Germania che si occupa di Sostenibilità aziendale: aiutiamo le aziende a misurare il loro impatto di emissioni, definire target di riduzione e compensare le emissioni residue. Questa strategia è fondamentale per contrastare il cambiamento climatico.

Nel frattempo si è anche scoperta blogger?

È vero, sì. Nel giugno dell’anno scorso ho lanciato il blog Caldo. Dopo il corso in SUPSI, sto seguendo il Master of Sciences in Climate Change and Development all’Università di Londra. Nel mio blog cerco di trasmettere, in modo indipendente, quello che sto imparando, e quello che la scienza può dirci sul cambiamento climatico. I dati ci sono, e devono essere divulgati. E compresi, perché possono essere letti in modi molto diversi.

Diversi così come sono diverse le posizioni dei vari Paesi nel COP 27 di Glasgow?

Le posizioni diverse dipendono dalle diverse condizioni. Guardi, glielo mostro (Lisa condivide il suo schermo e mi mostra alcuni grafici, tratti da www.globalcarbonproject.org, nda): è chiaro che se si guarda alle emissioni globali, i Paesi che più emettono CO2 sono quelli più grandi – Cina, India, Stati Uniti. Questo però va rapportato alla popolazione – obiettano i Paesi in via di sviluppo. Ed ecco che Cina e India, ad alta intensità di popolazione, diventano pro capite Paesi a basse emissioni. Bisogna poi ragionare sulla responsabilità di quelle emissioni: per chi vengono prodotti tutto l’alluminio, cemento, magliette, oggetti vari che vengono fabbricati in Cina? La Cina produce quasi un terzo delle emissioni totali di carbonio su questo pianeta. Ma solo perché i gas serra vengono emessi lì, non sono necessariamente causati per il popolo cinese. Infatti, la crescita economica del Paese è tutta basata su un modello di sviluppo orientato all’esportazione, ad alta intensità energetica – e quindi ad alta intensità di carbonio. Il Giappone e la Corea hanno fatto lo stesso. Anche l’India è sulla buona strada. Inoltre, definire target ambientali tra venti o trenta anni, non ha senso: i politici che ora fanno promesse, si staranno godendo la meritata pensione. È necessario assumersi le proprie responsabilità e agire ora, non tra un paio di decenni!

Allora come si può rendere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 più realizzabile?

Io credo sia importante iniziare dalla consapevolezza delle emissioni che stiamo generando – il cosiddetto carbon footprint. È un po’ come voler iniziare una dieta, non solo perché si avvicina la prova costume ma anche perché non sto bene e ho il colesterolo alto (un po’ come il nostro pianeta oggi). La prima cosa che devo fare è salire sulla bilancia e capire quanto è “grave” il mio problema. Poi devo capire quale è il mio obiettivo: quanto è il mio peso forma? Come ci arrivo? Quindi definisco una strategia e la metto in pratica da subito.

Come si può attuare?

Io credo sia importante dare un prezzo alle emissioni di gas serra perché comportano effettivamente costi: causano danni all’agricoltura, costi dovuti alle emergenze derivate da siccità, inondazioni, aumento del livello del mare, eventi climatici estremi. Credo che il carbon pricing sia uno strumento efficace perché, come ho raccontato anche su Caldo, non piace a nessuno pagare spese extra.

E come possiamo fare?

Ci sono due diversi percorsi possibili. Il carbon pricing trasferisce il costo delle emissioni a chi le emette, mediante l’andamento dei mercati. Se i costi causati dalle emissioni di gas serra vengono calcolati in modo chiaro, è possibile applicare un prezzo aggiuntivo sui prodotti a base di carbonio. In modo naturale saranno scelte soluzioni più economiche, perciò più sostenibili, e le aziende che subirebbero i costi maggiori cercheranno di implementare tecnologie più green, se non vogliono continuare a “pagare” per le loro emissioni. Un primo metodo si concentra sulla quantità delle emissioni, ovvero, il governo mette un tetto alla quantità di emissioni che un’azienda può produrre, e se l’azienda ne vuole produrre di più, deve acquistare tale “permesso” all’asta. Il permesso – certificato – può essere monetizzato in un mercato dove il prezzo di questi certificati si muove seguendo le leggi della domanda e dell’offerta. Questo sistema rende certe le emissioni permesse, ma non si sa il prezzo delle stesse, perché dipende dal mercato.

E il secondo sistema?

Si tassa il combustibile a base di carbonio alla fonte, rendendolo più costoso. In tale modo, il prezzo è certo, ma non c’è limite alla quantità. Ne è un esempio la carbon tax. Oppure l’introduzione di un prezzo nazionale delle emissioni di gas serra, o di un valore “corporate”, nelle aziende più virtuose, che possa influenzare le decisioni di investire in tecnologie a bassa emissione di carbonio.

Come stanno andando queste iniziative, ad oggi?

Meno di un quarto delle emissioni globali sono interessate da queste iniziative. Occorre anche ricordare che i Paesi più sensibili al problema, ad esempio gli europei, influiscono sul problema solo per l’8%. Ci sono anche controindicazioni, date dal fatto che il prezzo del carbonio emesso varia di Paese in Paese. Questo influenzerebbe nel lungo periodo la capacità concorrenziale e favorirebbe il cosiddetto carbon leakage – la delocalizzazione delle produzioni più inquinanti in Paesi dove questo tipo di regolamentazione non esiste. Non si fa altro che spostare il problema da un luogo all’altro, senza risolverlo. Ma il carbon pricing è solo un mezzo per spingere gli investimenti per innovazioni in chiave sostenibile, che consentiranno la transizione verde. È un mezzo, non un fine.

Cosa ne pensa del rinnovato impegno dei giovani per il clima, dei Fridays for future?

Hanno il merito indiscusso di avere richiamato l’attenzione al problema, ma sinora non ci sono proposte concrete. Greta e i suoi amici che oggi protestano lungo le strade di Glasgow sono gli economisti, gli ingegneri, i medici di domani: non possono semplicemente condannare il passato, devono anche riflettere su cosa fare per il futuro. Questo è il passaggio che mi auguro faranno presto.

Un po’ come lei, Lisa?

Io ho trovato nella sostenibilità la mia strada, che mi appassiona e dà fiducia nel futuro. Cerco di raccontarlo attraverso il mio blog e di promuoverlo ogni giorno in questa nuova entusiasmante avventura lavorativa.

Non possiamo che augurarle il meglio nella sua nuova collaborazione in ClimatePartner, a Milano. E che molti altri come lei ci aiutino a migliorare il futuro delle nuove generazioni.

A cura di Antonella Mazzoccato