Una delle prime, grandi sfide del suo mandato è stata vinta con risultati al di là delle aspettative. Per Maria Porro, eletta lo scorso luglio Presidente del Salone del Mobile.Milano, sono stati mesi particolarmente intensi e decisivi. La sfida di cui parliamo è il Supersalone: un format inedito e trasversale che a settembre si è inserito nel calendario fieristico milanese, anticipando il Salone ‘ufficiale’ del 2022. Un evento che, come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo ‘fuori programma’ alla manifestazione, ha sancito la ripartenza del Paese. I numeri lasciano poco spazio ai dubbi: le presenze registrate sono state oltre 60mila, in sei giorni, da 113 Paesi. Più della metà sono stati operatori di settore e buyer (il 47% provenienti dall’estero). Quasi 1.800 i giornalisti accreditati da tutto il mondo. 425 i brand espositori, di cui il 16% esteri a cui si aggiungono 170 giovani studenti provenienti da 22 Paesi e 39 designer indipendenti.
Abituata a lavorare in team e a rimanere con i piedi ben saldi a terra, Maria Porro ci ha raccontato questa esperienza con estrema pacatezza e senza alcuna nota di autocompiacimento, ma è evidente che i risultati ottenuti derivino anche da lei e dalla sua professionalità. Dopo la laurea in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera e un’esperienza decennale nel campo del teatro, dell’arte e dei grandi eventi come progettista, coordinatrice e curatrice (è stata anche production supervisor delle cerimonie di apertura delle Olimpiadi di Londra e Sochi, ndr), nel 2015 Maria Porro è diventata direttore marketing e comunicazione della Porro SpA, storica azienda fondata nel 1925 dal bisnonno Giulio. Già presidente di Assarredo, dal 2019 fa parte del Cda della Fondazione Altagamma.
Più di 60mila visitatori da tutto il mondo, entusiasmo da parte di aziende e grande pubblico, e l’emozione di ritrovarsi in presenza: l’esperimento Supersalone si è rivelato un successo. Qual è il suo bilancio della manifestazione?
Assolutamente positivo. A renderci molto soddisfatti non è solo la quantità ma anche la qualità dei visitatori. Mi spiego meglio: quasi la metà dei buyer proveniva dall’estero, sia dall’Europa che da altri continenti – in primis dagli Stati Uniti – e questo è un segnale molto positivo. La qualità e l’affluenza del pubblico erano tra gli scogli principali da superare e ci siamo riusciti. Inoltre, le aziende che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco in questo format diverso hanno avuto l’opportunità di sfruttare l’evento come strumento di comunicazione. Il Supersalone è stata una sorta di amplificatore dei messaggi che i brand volevano lanciare: ce lo hanno detto gli imprenditori che hanno partecipato, che sono stati molto soddisfatti di questo risultato, seppur intangibile. Un aspetto che deve farci riflettere è anche la rilevanza dell’evento: il Supersalone ha segnato un punto di svolta, è stato identificato come l’evento che ha sancito la ripartenza del Paese, come affermato dal Presidente Mattarella. Dobbiamo essere estremamente fieri, anche alla luce del fatto che si trattava di un appuntamento fuori calendario. Tutte le difficoltà iniziali sono state superate egregiamente.
Può già darci qualche anticipazione del Salone in programma ad aprile 2022? Come intendete celebrare i 60 anni della fiera?
Stiamo già lavorando a questa nuova data, è un momento molto importante e una sfida altrettanto grande. L’obiettivo è quello di poter tornare a costruire quei mondi, quei microcosmi che le aziende possono realizzare solo al Salone e che ne costituiscono la forza. Stiamo inoltre lavorando per garantire al visitatore la migliore esperienza possibile, in un momento ancora delicato a livello globale. E poi c’è il tema della sostenibilità: un segnale lo abbiamo già lanciato al Supersalone e questo impegno deve essere portato avanti. L’idea è quella di tracciare delle linee guida alle quali, con il tempo e gradualmente, le aziende saranno chiamate ad adeguarsi. Si tratta di un lavoro già iniziato: in collaborazione con Fiera Milano, abbiamo realizzato un’indagine per misurare le emissioni di carbonio prodotte durante l’allestimento del Supersalone per poi riuscire a controbilanciarle.
Fin dai più piccoli dettagli, questo Supersalone è stato all’insegna della circolarità, della sensibilità ambientale e del riuso. La sostenibilità è un tema sempre più importante per le aziende e non solo. Lei come la interpreta e persegue?
Per usare una parola cara ai miei amici di Symbola, credo nell’approccio olistico. Penso che sia importante avere una visione completa e organica di tutti gli aspetti connessi alla propria impresa e che la vera sostenibilità passi attraverso un progetto che riesce a toccarli tutti, andando a lavorare sugli aspetti misurabili e su quelli intangibili, che spesso sono dei grandi punti di forza delle nostre aziende. In più, penso che si debba fare un lavoro di filiera, muoversi insieme e fare sistema. In Federlegno, una Federazione che ha la fortuna di raccogliere l’intera filiera del legno, abbiamo fatto un lavoro di questo tipo, che verrà alla luce con un manifesto programmatico.
Per usare una metafora naturalistica, potrei dire che bisogna fare in modo che l’acqua sia pulita da quando sgorga a quando arriva al mare, come dalla sorgente all’estuario di un fiume. Ogni azienda al suo interno deve trovare il proprio percorso, con tempi e modi chiari, senza fughe in avanti che rischiano solo di disorientare. So quanto sia difficile per le PMI: anche la Porro SpA è di medie dimensioni e non è semplice. Si può operare un vero cambiamento solo se anche ai livelli dirigenziali c’è la convinzione che sia necessario intraprendere un percorso di questo tipo.
Questo vale ovunque, non solo in azienda.
Con la recente nomina a Presidente del Salone del Mobile.Milano, è diventata la prima donna alla guida della manifestazione di design più importante al mondo. Come ha accolto l’incarico e su cosa punterà durante il suo mandato?
Sono stata eletta in un momento di grande criticità e ho accolto questo incarico con spirito di servizio, cercando di mettere tutte le mie energie e le mie forze a disposizione di una squadra straordinaria, con la consapevolezza di sedere sulle spalle dei giganti. Ho scelto questo impegno perché come azienda, come persona e come presidente di Assarredo penso che il Salone del Mobile di Milano sia un elemento strategico imprescindibile per tutto il settore dell’arredo italiano. È il luogo in cui l’azienda della mia famiglia si è costruita una distribuzione internazionale, e lo stesso vale per tantissime altre imprese. Il Salone è fatto dalle aziende e le aziende costruiscono il loro successo al Salone: è un duplice legame che va assolutamente difeso e innovato. La strada già tracciata è importante, il mio obiettivo è quello di mantenere la leadership del Salone a livello internazionale in un momento molto difficile, mettendo al centro i suoi pilastri: la sua attenzione alla qualità, il suo essere un bene condiviso a cui partecipano tutte le aziende e un motore economico. Gli elementi di innovazione su cui stiamo lavorando sono la creazione di un’identità digitale, che prima della pandemia era quasi accessoria ma ora è prioritaria, la sostenibilità – che nel settore fieristico è molto difficile da raggiungere – e l’apertura verso l’esterno. Dobbiamo cercare di mantenere occhi e orecchie aperti sul mondo: al Supersalone lo abbiamo fatto con la mostra The Lost Graduation Show (170 progetti firmati dagli studenti di 48 scuole internazionali in esposizione dopo mesi di lockdown e lauree ‘da remoto’, ndr) e speriamo di poter continuare a offrire un ottimo osservatorio sul futuro, come accadeva già nelle passate edizioni attraverso il SaloneSatellite.
A proposito di futuro: lei è giovane (classe 1983, ndr) e ha già maturato diverse esperienze nel campo del design… che consiglio darebbe ai progettisti che si affacciano al mondo del lavoro?
In realtà, non sono così giovane (ride, ndr)! Penso che sia molto importante costruire legami con il tessuto produttivo. Un progettista non può prescindere dal conoscere fabbri, vetrai e anche operatori di macchine a controllo numerico. Deve avere la curiosità e l’umiltà di confrontarsi con chi le cose le costruisce, e capire che è sbagliato lavorare completamente in astratto. Dobbiamo recuperare quell’atteggiamento con cui i grandi maestri del design scandinavo venivano in Brianza a far realizzare le loro sedie. E poi, aprirsi al mondo è fondamentale: adesso è difficile viaggiare ma credo sia importante ricominciare a farlo non appena possibile.
Quanto – e in che direzione – la pandemia ha cambiato le richieste del mercato e i consumi?
Il nostro settore sicuramente ha retto bene il periodo critico della pandemia. Durante il lockdown abbiamo riscoperto quanto la qualità dell’arredo influenzi la qualità della nostra vita quotidiana. Tutto il mondo della cucina ha avuto ottimi risultati, così come tutti gli arredi “morbidi”, che evocano sensazioni di relax e cura, come il divano. Una maggiore attenzione per gli spazi esterni, dal balcone al giardino, ha fatto crescere l’interesse per l’arredo outdoor: in generale, si nota come il confine tra il “dentro” e il “fuori” sia sempre più osmotico. Ovviamente la necessità di creare postazioni di lavoro tra le mura domestiche ha incentivato le vendite di tutto ciò che è legato allo smartworking. Adesso bisogna lavorare perché questo rimbalzo positivo del settore costituisca basi solide e la cultura dell’abitare resti e rimanga una priorità, non un fenomeno passeggero.
L’azienda della sua famiglia, Porro, è stata fondata nel 1925 e ancora oggi rappresenta un’eccellenza del Made in Italy nel mondo. Quali sono gli ingredienti della longevità di un’impresa come la vostra?
Abbiamo sempre messo al centro il lavoro e la qualità, sia formale che estetica, senza troppi calcoli. Per tutti noi è una cultura condivisa. E poi la curiosità e l’umiltà di cui parlavo prima, anche nel confrontarsi con mercati nuovi e insospettabili, e con progettisti e designer da tutto il mondo.
Cosa si augura per il vicino traguardo dei 100 anni?
Confesso che sono molto scaramantica: non voglio festeggiare i 100 anni dell’azienda, preferirei celebrare i 99 o i 101 (ride, ndr)! In questo sono molto simile agli orientali… come loro, credo che l’incompiuto sappia dare meglio l’idea che abbiamo ancora qualcosa da costruire!
A cura di Erica Premoli