GOVERNANCE AZIENDALE: L’ESPERIENZA DI RICCARDO ILLY

Si è inaugurato mercoledì 16 settembre uno speciale ciclo di webinar organizzati da Confindustria Como e Confindustria Lecco e Sondrio in partnership con The European House – Ambrosetti. Quattro appuntamenti che seguono quelli sulle conseguenze economiche della pandemia proposti in primavera e che rappresentano l’avvio del percorso Io ci sarò! Prendiamoci cura del nostro futuro, insieme, lanciato dalle due territoriali in occasione dell’assemblea congiunta dello scorso novembre a Lariofiere. “L’emergenza Covid ci ha imposto di rinviare al prossimo anno la partenza del progetto rivolto ai nostri imprenditori, che prevede lezioni, seminari, visite aziendali, incontri” ha spiegato il Presidente di Confindustria Como Aram Manoukian “Questa anticipazione, attraverso la formula webinar, è sicuramente di altissimo profilo grazie a ospiti di livello che hanno accettato il nostro invito a portare la propria esperienza aziendale nei diversi pilastri che abbiamo deciso di approfondire: Governance, Crescita dimensionale, Cultura internazionale e Sostenibilità“.

“Per esserci anche in futuro non possiamo governare le imprese in modo padronale e verticistico ma dobbiamo allargare la responsabilità in modo più diffuso, indipendentemente dalla dimensione delle nostre aziende” ha affermato Aram Manoukian introducendo l’ospite del primo incontro, Riccardo Illy, Presidente di Polo del Gusto, newco del Gruppo Illy che opera tramite diverse società nel campo dei prodotti coloniali (caffè, tè, cioccolato), dolciari e complementari al caffè.

Da sempre impegnato a livello politico, imprenditoriale e culturale, Illy è stato intervistato nel corso dell’evento dal giornalista Ferruccio De Bortoli, già Direttore del Corriere della Sera e Presidente della casa editrice Longanesi. “Mi complimento con gli organizzatori per la scelta dell’espressione ‘Prendiamoci cura'” ha affermato De Bortoli “è un concetto bellissimo che ridefinisce la missione sociale ed economica di un’impresa, in una stagione difficile per il nostro Paese, che manifesta pulsioni anti-industriali di cui qualche volta dovremmo preoccuparci di più. Conosco il Presidente Illy da diversi anni e partecipo a una sua iniziativa sulla leadership che ritengo molto importante per la gestione consapevole dei fondi che arriveranno a sostegno dell’Italia nella ripresa post Covid”.

ILLY: UNA CASE HISTORY D’ECCELLENZA

Riccardo Illy ha iniziato il suo racconto illustrando la genesi dell’azienda di famiglia e le tappe fondamentali di un percorso caratterizzato da una continua spinta verso l’eccellenza. “Nel 1933 mio nonno Francesco ha fondato l’Industria nazionale caffè e cioccolato Illy & Hausbrandt, con un partner al 50%: era un’impresa familiare con due soci, quella che ora chiameremmo una joint venture. Tra i progetti c’era anche quello di produrre confetture in Istria ma dopo la guerra l’azienda agricola venne nazionalizzata dal governo jugoslavo. Venne interrotta anche la produzione del cacao per proseguire solo con il caffè fino al 1956. Alla morte del nonno è subentrato mio padre Ernesto, che ha continuato con il socio al 50% fino al 1965, quando è riuscito a ottenere il controllo della società. Fu un anno di grandi cambiamenti: venne costruito un nuovo stabilimento a Trieste e venne data all’azienda un’organizzazione di tipo manageriale con la nomina di un Direttore di produzione, un Direttore commerciale e un Direttore amministrativo. Infine mio padre decise di produrre anche tè, espandersi all’estero e investire per consolidare il mercato italiano.

Sono entrato in azienda nel 1977 e ho apportato modifiche importanti dal punto di vista strategico, in particolare quella di mantenere una sola miscela, un unico blend coniugato in diversi gradi di tostatura. Poi ho deciso di lasciare il tè per focalizzare la produzione solo sul caffè, rafforzandone l’immagine e la promozione sui canali stampa e tv. Nel 2004, abbiamo deciso di fare il secondo passaggio generazionale, costituendo la holding Gruppo Illy che controllava al 100% Illycaffè. Il bello di un’impresa familiare è che può pensare nel lungo se non lunghissimo periodo, anche in termini generazionali: ci siamo allora chiesti come sarebbe stato possibile continuare a crescere proponendo un unico prodotto di alta qualità, più caro degli altri e in una sola miscela. Abbiamo deciso di rimanere nell’eccellenza e di avviare una diversificazione. Sono stato incaricato del processo che in pochi anni ci ha portato ad acquisire varie aziende che operano nei settori tè, cioccolato, vino, confetture,… Nel 2019, raggiunta l’autonomia economico-finanziaria delle società extra caffè, abbiamo costituito Polo del Gusto di cui sono Presidente e che controlla Dammann Frères, Domori, Mastrojanni e ha due partecipazioni di minoranza in Agrimontana e Bonetti. Mia sorella Anna è presidente di Gruppo Illy e mio fratello Andrea di Illycaffè.

A livello di governance, in Gruppo Illy ci sono tutti membri della famiglia mentre nelle due società principali c’è una maggioranza di componenti indipendenti. Uno degli svantaggi delle aziende familiari è che a volte i componenti non solo ritengono di aver diritto a entrare nella società ma anche a diventarne amministratori e manager: invece questo diritto va guadagnato, nell’interesse dell’impresa e dei successori. A mio parere, la prima cosa da fare è darsi una struttura organizzativa di tipo manageriale, dividere tra proprietà e amministratori, inserendo manager esterni indipendenti o almeno un mix, se i membri della famiglia sono i candidati migliori per quel tipo di ruolo. Bisogna rendere le posizioni manageriali contendibili altrimenti si rischia che professionisti validi non inviino nemmeno il curriculum una volta che si aprono delle selezioni. Poi è necessario darsi una governance che veda una maggioranza di componenti indipendenti all’interno del Consiglio di Amministrazione. Se non c’è un membro della famiglia adeguato, questo vale anche per quanto riguarda il ruolo di Amministratore Delegato. Per evitare litigi, è meglio muoversi con anticipo e costruire un vero e proprio “patto di famiglia” dove indicare le regole di ingaggio per i componenti, a partire dagli studi e dalle esperienze lavorative necessarie per entrare nella governance societaria. Occorre pensare per tempo anche alla successione, perché se non si pianifica si rischia di dover sostenere costi elevati.

Illy ha quindi risposto alle domande di Ferruccio De Bortoli, approfondendo diversi temi legati ai cambiamenti del mercato e alla responsabilità etica delle aziende.

C’è qualcosa nella bella storia di Illy che si rammarica di non aver fatto?

Grandi rammarichi non ne ho. “Crescere è bello”: abbiamo colto tutte le occasioni per farlo e lo faremo anche in futuro, prevedendo partner finanziari importanti per favorire ulteriore sviluppo. L’impresa è un organismo complesso e sta bene finché cresce, bisogna creare le condizioni perché possa farlo prima sul mercato interno e poi su quello internazionale. Andare globali non è un’opzione, è un obbligo se non si vuole subire la concorrenza di aziende più innovative ed efficienti.

Durante il Forum Ambrosetti abbiamo avuto modo di parlare del fenomeno Nespresso con l’ex ceo di Nestlè Peter Brabeck- Letmathe. È stata un’occasione perduta per l’Italia?

Nestlé è il primo produttore mondiale nel settore del caffè mentre in Italia la situazione è molto più frammentata: nel nostro Paese ci sono migliaia di torrefazioni, in Germania solo una cinquantina. Qualche anno fa la società Jab ha aggregato una serie di imprese in Europa e Stati Uniti e in tre anni è diventata il secondo player mondiale. In poco tempo lo scenario è cambiato improvvisamente: lo dico perché vale per tutti i settori, anche quelli in cui non avvengono aggregazioni da decenni. Nestlé è sempre stata focalizzata sull’instant coffee ma qualche anno fa, dopo un inizio non privo di difficoltà, ha cominciato ad avere successo con le capsule Nespresso attraverso una campagna di comunicazione vincente e negozi monomarca ben strutturati. In realtà fummo tra i primi a sviluppare cialde, le realizzavamo in carta già negli anni Settanta e potevano essere utilizzate sia in ufficio che a casa. Quando è arrivata Nestlé, sembrava impossibile poter competere. Allora, pensando alla sfida tra Betamax (il sistema lanciato da Sony per l’home video) e Vhs (lo standard firmato Jvc), ovvero lo scontro che ha portato un sistema chiuso a perdere la partita di fronte ai vantaggi offerti da un consorzio aperto, ho inventato il brand ESE (Easy Serving Espresso). L’obiettivo era quello di creare un’aggregazione di tipo consortile e far fronte alla concorrenza. Quando però proponemmo di investire in pubblicità, al momento di dividere i costi uno dei player principali si tirò indietro, lasciando campo libero a Nestlé. Anche noi abbiamo sviluppato una capsula compatibile con i sistemi Nespresso, che sta andando molto bene e traina le vendite delle nostre capsule in plastica.

Perché un caso di successo come quello di Starbucks – che ha tutti prodotti italiani – non è stato creato da noi?

Qui non abbiamo un mercato di riferimento, né dal punto di vista finanziario né dal punto di vista dei consumatori.

In questo periodo si discute molto della necessità di rivitalizzare i centri urbani, svuotati a causa della pandemia. Non crede si stia esagerando con la narrazione sui benefici dello smart working?

Credo che lavorare da remoto non possa portare alla stessa efficacia e efficienza del lavoro in presenza ma capisco che la situazione attuale richieda ancora una certa cautela. Per quanto riguarda le mansioni di ufficio, anche Illycaffè sta operando esclusivamente da remoto. Penso che in futuro il 20- 30% delle persone con mansioni impiegatizie proseguiranno lo smartworking, le altre rientreranno in ufficio: sono percentuali che avranno comunque un impatto significativo sulle città e sulle abitudini di consumo. Dobbiamo prepararci a un certo cambiamento strutturale e mettere i consumatori nelle condizioni di bere a casa un caffè buono come quello del bar, possibilmente consegnandolo a domicilio. Per esempio, spingendo sull’e- commerce, che diventa sempre più un canale preferenziale.

Anni fa, durante un vostro evento, rimasi molto colpito dall’attaccamento dimostrato da dipendenti e fornitori e dall’attenzione dell’azienda al benessere dell’intera filiera: ecco, quello per me significa sostenibilità.

Sì e posso dire che ce l’abbiamo nel sangue: non ho conosciuto mio nonno perché è mancato quando ero molto piccolo ma so che aveva l’abitudine di sostenere i suoi dipendenti in qualsiasi momento della vita. Per esempio, se si sposavano e dovevano acquistare una casa, l’azienda si occupava del mutuo. Su consiglio di mio padre, ho letto i libri di Peter Drucker (economista, docente, autore di testi fondamentali sul management, consulente di aziende e governi, ndr) che è l’inventore del concetto di stakeholder, in cui include i clienti ma anche i collaboratori, i fornitori, etc. Drucker dice che lo scopo di qualsiasi organizzazione – con o senza fini di lucro – è soddisfare le necessità di alcune persone e aggiunge che gli utili sono “il costo del futuro”. Trovo che sia una delle più belle definizioni di utili mai scritte: significa che le organizzazioni sono in competizione con altre, per farlo devono innovare e per innovare servono le risorse, che vengono dagli utili.

Sostenibilità e reputazione vanno di pari passo?

Sì, l’impresa non serve solo a produrre utili ma ha anche un ruolo sociale. Se vuole operare bene, deve soddisfare tutti coloro che la servono, siano essi consumatori o collaboratori. Bisogna preoccuparsi della sostenibilità sociale e ambientale perché, per citare ancora Drucker, se non lo facciamo da soli lo farà il legislatore, con danni probabilmente maggiori.

Si aspetta un cambiamento dei gusti e del consumatore tra qualche anno?

I consumatori saranno sempre più attenti e tenderanno a scegliere i prodotti che ritengono sostenibili. Su richiesta di Wholefoods, abbiamo incaricato una società esterna di certificare e controllare i nostri pagamenti ai fornitori e la riduzione dell’impatto ambientale lungo tutta la supply chain. Rilasciata da DNV GL, la certificazione RSCP valuta l’impatto sociale, ambientale ed economico su tutti gli stakeholder della filiera. Inoltre, qualche mese fa Illycaffè è diventata Società Benefit (ovvero un’impresa che integra nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera, ndr) e Domori ha fatto altrettanto.

L’esperienza politica le ha dato vantaggi o svantaggi a livello imprenditoriale?

Vantaggi: ho iniziato come sindaco di Trieste senza alcuna esperienza politica pregressa e ho imparato tantissimo. Durante il mio mandato abbiamo informatizzato diverse procedure, come la digitalizzazione del piano regolatore del Comune. Ho incontrato dirigenti di grandissima qualità, che sentivano il senso della missione di lavorare nella Pubblica Amministrazione e – quando venivano adeguatamente motivati – davano enormi soddisfazioni. Io ho contribuito portando nel pubblico le tecniche manageriali del privato ma ho anche appreso molto, soprattutto in termini di pazienza e di gestione della complessità.

Il webinar è proseguito con gli interventi di Eddy Codega e Alberto Novarese, che hanno raccontato le proprie esperienze, dai primi passi in azienda ai traguardi raggiunti nei rispettivi settori.

EDDY CODEGA, Presidente e Ceo di C.A.M.P. SpA

Ci occupiamo di articoli per la montagna e l’alpinismo dal 1889 e, dato che il nostro mercato di riferimento è molto piccolo, per contare siamo subito dovuti diventare internazionali. Il processo è iniziato negli anni Sessanta e ci ha portato ad essere presenti in 80 Paesi nel mondo. Da alcuni anni abbiamo iniziato a lavorare anche nel mercato della sicurezza industriale, per proteggere tutti i lavoratori che operano in quota (es. gli addetti alla pulizia dei vetri dei grattacieli). Io appartengo alla quarta generazione, il passaggio è avvenuto ormai da qualche tempo ma, a quanto mi dicono, è stato un caso molto particolare.

Nel 2000 mio padre, che era l’Amministratore unico e lavorava affiancato dai fratelli, iniziava a riscontrare difficoltà nell’avere una visione di lungo periodo. Ha deciso che avrebbe lasciato C.A.M.P. una volta compiuti 65 anni e ha chiesto a noi cugini di prenderci un paio di anni di tempo per elaborare un piano e convincere lui e i fratelli che eravamo la scelta giusta per il futuro dell’azienda. Oltre a litigare, in famiglia spesso non ci si conosce a sufficienza: questi due anni sono stati davvero propedeutici e ci hanno aiutato a trovare un comun denominatore. Sono stati anni di formazione e definizione delle regole di comportamento. Devo anche dire che siamo stati fortunati: del gruppo iniziale di 11 persone, quelle interessate a entrare in azienda erano solo 6, tutte molto complementari tra loro. Alla fine abbiamo presentato un vero e proprio business plan e li abbiamo convinti. Per i due anni successivi, abbiamo lavorato in affiancamento ai nostri genitori e nel 2004, quando è avvenuto il cambio di consegne, mio padre e i suoi fratelli hanno definitivamente lasciato l’azienda e non sono più tornati, se non invitati da noi. Questo per dare un messaggio molto chiaro e trasparente ai collaboratori, per dimostrare responsabilità e fiducia.

Sentiamo molto forte il ruolo sociale dell’azienda e lavoriamo in un settore in cui la passione è fondamentale e diventa un criterio su cui basiamo la scelta dei collaboratori. Assumere designer e progettisti che sono anche ‘praticanti’ è un driver fortissimo perché si crea una vera e propria ‘cordata’ tra i componenti del team. Abbiamo creato una cultura interna caratterizzata dall’apertura e, per evitare che la famiglia diventi ingombrante, cerchiamo di lasciarci ‘inquinare’ e di includere il più possibile tutti i collaboratori, compresi i responsabili delle filiali estere, nel processo decisionale.

ALBERTO NOVARESE, Presidente di SAATI SpA

SAATI è una tessitura tecnica di precisione fondata da mio nonno nel 1935 e poi guidata da mio padre per 40 anni. Entrambi tenevano molto a mantenere la gestione familiare dell’azienda e io – figlio unico e laureato in Economia alla Bocconi – ero una sorta di predestinato. Però sono sempre stato convinto che l’azienda non può costituire un diritto ereditario e che, oltre una certa dimensione, una persona non può gestire tutto. Così ho insistito per avviare un progetto di managerializzazione, introducendo per la prima volta un Amministratore Delegato esterno e creando dal nulla il middle management. È stato un processo inizialmente traumatico che poi ha portato a grandi soddisfazioni. Non è stato facile e scontato presentare un nuovo volto ai dipendenti, rischiando anche che il cambiamento venisse interpretato come un gesto di disimpegno della famiglia. Dopo dieci anni abbiamo a malincuore allontanato l’AD che non aveva soddisfatto le aspettative e nominato quello attuale (Antoine Mangogna, intervistato nel n.19 di Industria Como, ndr), che ormai è con noi da tredici anni. Con lui abbiamo stipulato una sorta di ‘patto di sangue’, si è creata una perfetta sintonia e posso dire che dopo ventitré anni il processo di managerializzazione si è completato.

Molti mi hanno detto che nominare un AD esterno è stato un atto coraggioso perché significa fare un passo indietro ma io non l’ho mai considerato in questo modo. La famiglia è diventata azionista, mentre la gestione è stata affidata a persone competenti in quello specifico settore. Dopotutto, senza deleghe, a cosa servirebbe un Amministratore Delegato? In questi anni ho imparato che anche gli AD hanno bisogno di un ‘papà’. Come Presidente, faccio da sounding board delle idee dell’AD e noto che lui ha veramente bisogno di questi momenti di confronto. Mi piace pensare a un rapporto di sinergia, perché ho sempre ritenuto che il mio ruolo fosse quello di accompagnare l’AD senza prevaricarlo. Ci sono tuttavia decisioni che posso prendere solo io: nessuno meglio della famiglia può decidere dove deve andare l’azienda nel futuro, l’AD si occupa solo di un determinato segmento temporale ed è destinato a passare.

Ho 60 anni e due figlie trentenni, entrambe con una formazione in ambito economico. Potranno scegliere che ruolo giocare in azienda, facendo le azioniste ‘attive’ come nel mio caso, oppure esercitando il loro ruolo ‘a distanza’. Per ora non abbiamo definito delle regole, come nel caso di Illy, ma abbiamo ritagliato un ruolo ben preciso alla famiglia, che rappresenta un valore aggiunto. Nel 1998, alla morte di mio padre, SAATI contava 300 dipendenti, ora sono 1000, di cui la metà all’estero. Esportiamo il 95% della produzione, abbiamo filiali commerciali e produttive in Cina, Corea, Stati Uniti, Germania, sud Europa,… Il tasso di turnover è molto basso sia per quanto riguarda i dirigenti sia tra gli operai di terzo livello. L’anima familiare delle origini è rimasta intatta ma si è arricchita di un contenuto manageriale esterno che è decisivo per il futuro.

Al termine degli interventi, il Presidente Manoukian ha sottolineato come un concetto ricorrente nelle storie dei vari imprenditori sia stato quello dell’apertura, che è al tempo stesso portatrice di opportunità e rischi. “Per fronteggiare la complessità di un mondo in cambiamento bisogna puntare su coinvolgimento e coesione. Come spiegato anche dal Dott. Illy, è evidente che le aziende non debbano essere governate in modo ‘primordiale’ ma adeguato, con un certo ‘galateo’. Con questi webinar vogliamo stimolare gli associati a farsi delle domande: ovviamente non esiste una ricetta precisa ma ognuno di noi può trarre spunti e cercare risposte attraverso le testimonianze che condividiamo”.

Lorenzo Riva, Presidente di Confindustria Lecco e Sondrio, ha ringraziato gli ospiti, concludendo: “Dalle riflessioni di oggi emerge come sia sempre più necessario avere lungimiranza ma anche competenze e coraggio. Dobbiamo metterci in discussione: più condividiamo idee, esperienze e know-how e più prepariamo le nostre aziende al futuro. Io ci sarò! non è uno slogan ma un’affermazione che dobbiamo necessariamente portare avanti”.

CALENDARIO WEBINAR

I prossimi appuntamenti con i webinar del progetto Io ci sarò! Prendiamoci cura del nostro futuro, insieme sono previsti per giovedì 22 ottobre, con Francesco Mutti (Amministratore Delegato di MUTTI SpA), che approfondirà insieme a Ferruccio De Bortoli il tema della CRESCITA DIMENSIONALE; martedì 3 novembre, in cui si affronterà il driver della CULTURA INTERNAZIONALE con Sonia Bonfiglioli (Presidente di Bonfiglioli Riduttori SpA) e, a fine novembre, l’ultimo appuntamento dedicato alla SOSTENIBILITÀ.

a cura di Erica Premoli