Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica “Limes”, racconta sfide, opportunità e prospettive per il Belpaese
Nel 1921 Giuseppe Prezzolini, nel suo Codice della vita italiana, racconta i paradossi dell’Italia del tempo descrivendola come “una speranza storica che si va facendo realtà”. La visione dell’intellettuale toscano racchiudeva in sé una profonda amarezza per le mancanze del Paese e allo stesso tempo il grande auspicio che il popolo italiano, a quel tempo unito da solo sessant’anni, potesse un giorno da Nazione farsi Stato nel senso compiuto del termine. È passato quasi un secolo e il Belpaese ha attraversato epocali mutamenti politici, economici e sociali, riuscendo ad emergerne sostanzialmente immacolato.
Vale ancora oggi la narrazione che ci vede da secoli calpesti e derisi, incapaci di esistere sotto un’unica bandiera dalle Alpi alla Sicilia e di agire di concerto né per interesse né tantomeno per comune identità e destino. Sopravvive tuttavia immutato il paradosso per cui l’Italia può ancora ascrivere la sua economia tra le più avanzate del pianeta, con una manifattura centrale nelle catene globali del valore, un patrimonio culturale inestimabile ed uno stile di vita considerato (dagli altri) invidiabile.
Quali allora le prospettive per un Paese dai caratteri adolescenziali che oggi è chiamato a sopravvivere in un sistema internazionale sempre meno unipolare e sempre più insicuro? È ancora sufficiente aggrapparsi al dato che ci vede seconda manifattura d’Europa o saremo costretti a maturare per avere ancora un ruolo di primo piano a livello internazionale?
Lucio Caracciolo, tra i principali analisti italiani di politica internazionale, ospite di Confindustria Como, ha cercato di rispondere a queste domande, analizzando le principali sfide che l’Italia è chiamata ad affrontare ma cercando altresì di tracciare una prospettiva che ci porti a raggiungere un compimento come Stato. Caracciolo, anche attraverso un dialogo con cittadini e imprenditori, ha parlato del senso di un rinnovato spirito di unità nazionale, del ruolo dell’Italia nella crescente sfida USA-Cina e del futuro geopolitico ed economico cui andiamo incontro. Esiste una strategia per l’Italia?
IL PAESE DELLE PICCOLE PATRIE
“Non è affatto detto che l’unità d’Italia così come è stata avviata da Cavour sia un dato permanente, anzi molti elementi rendono questa unità sempre più fragile” evidenzia Caracciolo. Crisi economica, spinte indipendentiste, guerra commerciale: all’Italia serve pensare ed agire come Stato per non lasciarsi travolgere dalla storia. È questo, secondo il direttore di Limes, lo snodo fondamentale da cui passa il futuro del Paese, da cui partire per delineare una serie compiuta di azioni, in altre parole una strategia.
A partire da queste considerazioni Caracciolo si è concentrato sull’analisi delle principali forze disgregatrici presenti nel Paese, a partire dalla questione meridionale: “Esiste una frattura, ben più a Nord di Roma, lungo la linea gotica, che distingue tra un pezzo di Italia molto più connesso all’Europa e al mondo e un altro pezzo che invece non lo è” commenta Caracciolo, aggiungendo che tuttavia “bisogna rendersi conto che anche il nostro Nord ha perso terreno dal resto d’Europa, molto più di quanto ne abbia guadagnato rispetto al meridione. Una divisione non conviene né politicamente né economicamente in quanto una grossa quota di mercato di prodotti e servizi del Nord risiede proprio sotto la linea gotica”.
La frammentazione culturale e politica oggi non si traduce solamente nelle proposte secessioniste di alcune regioni e macroaree territoriali ma anche nelle proposte di alcuni grossi centri metropolitani: “Voglio ricordare che una città-stato è prima di tutto uno Stato: possiede una sua difesa, delle sue dogane e un proprio ordinamento, che la sua forma sia quella della città è un dato secondario” ha commentato Caracciolo che ha poi proseguito: “molti di questi aspetti sono dati per scontati ma sono determinanti in quanto le dimensioni contano. Non credo a delle nuove Singapore italiane”.
Storia e morfologia del territorio costituiscono variabili indipendenti che concorrono ad alimentare le spinte centrifughe. Tuttavia, per l’analista romano è la debolezza istituzionale a determinare in maniera decisiva le divisioni: “manca una cabina di regia, un centro che traini verso una determinata direzione per evitare di agire in ordine sparso”.
ITALIA, VASO DI COCCIO TRA VASI DI FERRO
A fornire la prova di questa debolezza strutturale ci ha pensato nel mese di marzo il caos generato dal dibattito sul cosiddetto Memorandum of Understanding (MoU) con la Cina, un accordo che prevede l’adesione dell’Italia, prima tra i paesi del G7, al grande progetto di investimenti esteri in infrastrutture da parte di Pechino conosciuto come Belt & Road Initiative (anche Nuove Vie della Seta). Evidente è stata la mancanza di coordinamento tra governo, istituzioni ed attori economici e sociali. Ognuno ha agito per proprio conto senza fare una valutazione sufficientemente attenta: “Abbiamo firmato un documento che ha un valore meramente politico-ideologico ma che a Washington è stato interpretato come un segno di sottomissione” ha affermato l’analista che ha poi aggiunto: “ci sono paesi come la Francia o la Germania che sono molto più connessi con la Cina di noi sia a livello finanziario che a livello infrastrutturale che non hanno firmato nessun accordo di questo tipo”.
All’Italia fanno comodo gli investimenti cinesi, soprattutto nelle infrastrutture, ma con la firma del MoU il Paese dimostrato di “privilegiare la dimensione mercantilistica a quella simbolica” in un momento storico in cui la sicurezza sta tornando prepotentemente a rivendicare il primato sulla questione economica. Gli Stati Uniti rimangono ancora il garante della difesa in Europa e in particolar modo l’Italia, che in questo momento non gode di grande fiducia da parte dei mercati, ha troppo da perdere da un eventuale deterioramento dei rapporti.
“Il rischio è quello di essere finiti in mezzo ad uno scontro tra colossi in cui l’Italia, e in qualche misura anche l’Europa, si ritrova ad essere il vaso di coccio tra vasi di ferro” ha commentato Caracciolo che ha poi precisato: “in questa condizione non ci sono solo rischi ma anche opportunità, abbiamo però lo svantaggio strutturale di fondo che consiste nella debolezza istituzionale e quindi alla difficoltà di costruire un approccio sistemico”.
UNA STRATEGIA PER L’ITALIA
Quale può essere allora il ruolo che l’Italia può giocare nel contesto globale odierno? Quale strategia per un nuovo rilancio del Paese che dopo il grande sviluppo della seconda metà del Novecento sembra essersi fermato?
Durante la serata Caracciolo ha cercato di esporre le priorità che l’agenda italiana dovrebbe trattare. Per impostare una rinascita politica, economica e sociale, occorre innanzitutto cogliere le opportunità e valorizzare gli importanti asset che già possediamo: “Negli ultimi tempi Pechino ha individuato in Genova e Trieste una possibile alternativa ai grandi porti nordeuropei” ha spiegato l’analista di Limes che ha poi aggiunto: “i porti italiani non hanno oggi il peso specifico di Rotterdam o Amburgo ma hanno un grande potenziale in quanto la loro posizione è strategica”. Il politologo si riferisce in particolar modo a Trieste, da sempre limes immaginifico tra Est e Ovest, e snodo cruciale per gli oleodotti che rifornisco la parte produttiva della Germania, in particolar modo Bayern e Baden-Württemberg. Un porto però non basta di per sé: a renderlo strategico per un Paese serve una rete di infrastrutture accessorie che lo colleghino ai grandi centri, rete che rimane uno dei più grandi deficit del Belpaese. Caracciolo cita a titolo esemplificativo la Tav: “una cosa è parlare, come stupidamente si fa, di un collegamento Torino-Lione, altra cosa è parlare di un ponte tra l’Europa centrorientale e l’Europa occidentale”. Serve dunque una visione e una serie di investimenti in infrastrutture che puntino a valorizzare quelle già esistenti.
In secondo luogo l’Italia ha bisogno di un nuovo approccio allo sviluppo, un approccio che punti sull’innovazione: “Contemporaneamente gli investimenti cinesi in Italia si stanno concentrando su quello che è il loro vero obiettivo economico, di intelligence e geopolitico: il passaggio da un sistema basato sulla produzione di massa a uno sviluppo economico basato sulle nuove tecnologie” spiega il direttore di Limes che ritiene questo passaggio sia decisivo anche per il futuro della manifattura: “Per poterci fregiare ancora del titolo di ‘seconda manifattura d’Europa’ occorre un nuovo paradigma che punti sulle nuove tecnologie e su nuove forme di consociativismo”. Imprese più tecnologiche e più in rete tra loro dunque ma che soprattutto si interfaccino al mondo non come soggetti unitari ma all’interno della logica del ‘Sistema Paese’. È questo però lo spunto decisivo emerso dall’analisi di Lucio Caracciolo durante la serata: in definitiva la strategia per un’Italia del presente e del futuro si può riassumere con il concetto espresso in apertura, ovvero quella necessità di farci Stato nel senso compiuto del termine. A poco serviranno gli investimenti se fatti in ordine sparso, senza una cabina di regia e un centro di imputazione delle colpe. Serviranno istituzioni più forti e imprese capaci di fare sistema. L’unità di forze ed intenti sarà la misura del nostro futuro prossimo: se l’Italia vuole avere un ruolo nel sempre più competitivo scenario globale è più che mai urgente che la speranza unitaria si faccia al più presto realtà concreta.
A cura di Alessandro Zecca